Il vagone per sole donne? Il deragliamento di una comunità
| Società
Il vagone per sole donne di cui si è fatto un gran parlare dopo il recente episodio di violenza sessuale non è un’opportunità ma una sconfitta. La soluzione non sta nell’isolare le potenziali vittime ma nel ritrovare un senso di comunità.
Il vagone per sole donne? Il deragliamento di una comunità
Il vagone per sole donne di cui si è fatto un gran parlare dopo il recente episodio di violenza sessuale non è un’opportunità ma una sconfitta. La soluzione non sta nell’isolare le potenziali vittime ma nel ritrovare un senso di comunità.
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Il vagone per sole donne? Il deragliamento di una comunità
Il vagone per sole donne di cui si è fatto un gran parlare dopo il recente episodio di violenza sessuale non è un’opportunità ma una sconfitta. La soluzione non sta nell’isolare le potenziali vittime ma nel ritrovare un senso di comunità.
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AUTORE: Elena Bellanova
Il recente episodio di violenza sessuale avvenuto sul treno diretto a Varese ha aperto a numerose discussioni, come normalmente accade per eventi di questo tipo.
Paura, indignazione e opinioni di (e da parte di) qualsiasi genere, hanno invaso il web in pochissimo tempo con non poca indelicatezza.
Subire una violenza come uno stupro è qualcosa che segna la vita della vittima irrimediabilmente, che dovrà affrontare con estremo coraggio per non soccombere. Notare che questa disgrazia diventa merce succosa per chiunque senta la necessità di esprimere opinioni, contribuendo al malessere della vittima, costretta a rivivere il ricordo ad ogni carattere su twitter.
Ma il ruolo dei social media, si sa, è quello di sostituirsi alla piazza, dove il mormorio e il chiacchiericcio scandiscono le giornate.
La petizione “Vogliamo viaggiare sicure” firmata da un gruppo di donne sulla piattaforma Change.org, diretta all’azienda di trasporti Trenord, ha fatto sicuramente di più.
La richiesta di un vagone per sole donne, è stata da molti definita una sconfitta.
La libertà di un essere umano viene a mancare quando una normale attività viene minacciata da un pericolo, influenzando l’andamento delle proprie decisioni, ma un vagone per sole donne apre a una parentesi più grande.
Abbiamo abbandonato il senso di comunità. Ciò che permette determinati episodi (oltre, ovviamente, a una serie di tutele reali che ancora attendiamo) è l’isolamento che ci siamo auto inflitti, osservando comportamenti egoisti e lasciando spazio esclusivamente alla paura.
La giovane vittima sul treno ha urlato, ha chiesto aiuto, si è fatta sentire da tutto il vagone.
Qui non si tratta di una questione di genere, non si tratta di vagoni per sole donne, si tratta di vagoni di esseri umani.
Perché una persona sola sarà sempre e comunque un’ottima preda, ma questa possibilità può ridursi se cominciamo ad abbandonare il senso di sfiducia nell’altro che si è insinuato nelle menti dei cittadini, troppo presi dalla loro foga di tornare a casa tra un appuntamento e l’altro.
La violenza di genere va fermata, ma va fermata anche la noncuranza.
Allora forse è questo il senso della richiesta di un vagone per sole donne: ritrovare la forza del gruppo, il senso di appartenenza, essere di supporto all’altro, per smettere di abbassare la testa e fissare i piedi.
Certo, il rischio di apartheid c’è, ma almeno, come già accade in Giappone, Malesia, Thailandia, Brasile, Egitto e India, si fa un tentativo, si cerca una soluzione mentre si attende che l’intero apparato educativo venga rivoluzionato, per fare la differenza partendo da ciò che conta davvero: le nuove generazioni.
Intanto, investire su una squadra di sicurezza in orari serali sui treni, è un’opzione che Trenord non sembra prendere in considerazione.
di Elena Bellanova
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