Donne uccise da chi diceva di amarle per l’incapacità di accettare la fine di una relazione; uccise, nella maggior parte dei casi, da compagni, mariti, fidanzati e “colpevoli” secondo i loro aguzzini di rifiutare ciò che resta di un amore di cui non vi è più traccia.
Rita, Alessandra, Maria, una lista già troppo lunga per cui si fa fatica solo a ricordare i volti delle donne uccise negli ultimi 7 giorni.
Ogni volta che si verifica un femminicidio la storia è sempre la stessa: il dolore dei parenti, le Istituzioni che ricordano quanto sia importante denunciare, l’indignazione generale da parte dell’opinione pubblica.
Cosa fare se, anche dopo aver denunciato, le donne non vengono messe in sicurezza con misure adeguate? Perché la verità è che, nella maggior parte dei casi, non si tratta più di stragi silenti. Molte potevano essere evitate.
Impossibile non fare riferimento al caso di Vanessa Zappalà, ventiseienne uccisa di recente ad Aci Trezza con diversi colpi di arma da fuoco mentre passeggiava insieme agli amici. A sparare è stato il suo ex fidanzato, trovato morto suicida poco dopo, che la ragazza aveva più volte denunciato per stalking, ottenendo in cambio la misura cautelare del “divieto di avvicinamento”.
Perché non si tratta solo di casi di omicidio, ma di delitti commessi con il preciso intento di privare l’individuo di sesso femminile della propria libertà, in nome di un’ideologia di matrice patriarcale dove la donna è considerata alla stregua di un oggetto.
Sebbene il Codice Rocco abbia rappresentato una svolta in materia, sono necessari altri interventi mirati per mettere un freno a questa strage di innocenti.
È chiaro, dunque, che occorre un inasprimento delle pene e che il “divieto di avvicinarsi a meno di 200 metri” non sia sufficiente a fermare la furia omicida di uomini che si dimostrano degli squilibrati. Questa instabilità dovrebbe essere curata in apposite strutture, per evitare che la donna viva nella paura.
C’è poi bisogno di una svolta culturale che può avere luogo solo a partire dalle scuole attraverso strumenti educativi che combattano gli stereotipi di genere e la discriminazione delle donne in qualsiasi ambito. Educare fin da piccoli bambini e bambine significherebbe affrontare seriamente la questione dei ruoli di genere, evitando che in futuro accadano ancora questi tragici episodi.
Questo accade soprattutto perché negli ultimi tempi c’è stata quasi una normalizzazione della violenza, basti pensare banalmente alle numerose trasmissioni televisive dove gelosie, urla e possesso la fanno da padrone.
Come è accaduto di recente nel corso del programma “Forum”, durante il quale la conduttrice Barbara Palombelli si è chiesta se qualche volta non siano state le donne a istigare i signori uomini con comportamenti esasperanti.
Un’uscita troppo infelice per passare inosservata e non attirare una marea di critiche. Pensare che alla base di un femminicidio possa esserci una parte di colpa della donna è un concetto ripugnante.
Ancora oggi non si è in grado di comprendere che la violenza verbale si trasforma in violenza fisica e per donne normali come quelle sopra citate può diventare fatale. È per questo che bisogna intervenire subito e in fretta, per dare giustizia alle numerose vittime e per evitare di leggere sulle pagine di cronaca atrocità simili tutt’oggi.
Di Alessia Luceri
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