L’Italia divenuta crocevia
L’Italia divenuta crocevia: emigrazione ed immigrazione da record, quest’ultima è la più alta della storia recente. Nel 2024 più di 382mila arrivi, nello stesso periodo 155mila gli italiani che hanno lasciato il Paese

L’Italia divenuta crocevia
L’Italia divenuta crocevia: emigrazione ed immigrazione da record, quest’ultima è la più alta della storia recente. Nel 2024 più di 382mila arrivi, nello stesso periodo 155mila gli italiani che hanno lasciato il Paese
L’Italia divenuta crocevia
L’Italia divenuta crocevia: emigrazione ed immigrazione da record, quest’ultima è la più alta della storia recente. Nel 2024 più di 382mila arrivi, nello stesso periodo 155mila gli italiani che hanno lasciato il Paese
E meno male che doveva essere il governo del pugno di ferro ai confini. Sarà anche questione di circostanze, della crescente instabilità internazionale. Eppure, da quando Giorgia Meloni è presidente del Consiglio, il numero di immigrazioni in Italia è il più alto della storia recente e ogni anno superiore a quello precedente. Il record è stato ritoccato nel 2024: più di 382mila nuovi arrivi. Ma non è soltanto questa la notizia. L’altro lato della medaglia è che raggiunge un picco ultradecennale anche il conto relativo alle emigrazioni: nello stesso periodo ben 155mila italiani hanno lasciato il Paese. È il quadro che emerge dall’ultimo rapporto Istat sui flussi della popolazione residente (dati Anagrafe nazionale/Ministero dell’Interno). E ci fa rendere conto di essere sempre più una terra di transito. Gente che arriva, gente che parte. Chi si ferma è l’Italia.
Dall’indagine statistica affiorano diversi elementi di notevole interesse. Innanzitutto gli immigrati nel biennio 2023-24 surclassano del 31,1% quelli giunti in Italia nei due anni precedenti. Ma per la stragrande maggioranza non si tratta di profughi sospinti dal Mediterraneo, con buona pace degli slogan di Salvini e dei controversi centri di rimpatrio voluti da Meloni in Albania. Al contrario, i principali Paesi d’origine sono per distacco l’Ucraina (certamente condizionata dalla guerra), il Bangladesh e – toh, guarda – l’Albania (ma alla fine l’affare non l’avrà mica fatto Edi Rama?). Di più: tra le prime 15 nazioni di provenienza non ne figura nessuna – dalla Libia all’Afghanistan, passando per la Siria – ad alto tasso di richieste di asilo. Il presidio dei porti resta insomma un tema da comizio, mentre la realtà dei fatti presenta ben altre sfumature.
Per esempio: il saldo migratorio dei giovani laureati – quadriennio 2019-2023 – è positivo proprio grazie all’apporto di chi arriva dall’estero, che controbilancia la fuga dei cervelli altrimenti in corso. Più in generale, a scanso di equivoci, l’aumento delle emigrazioni non è dovuto alle partenze degli stranieri, stabili e contenute. Ma quasi del tutto agli espatri dei cittadini italiani, che nel biennio 2023-24 – complice la pandemia alle spalle – evidenziano un +39,3% sul 2021-22. Eppure l’Istat sostiene che siamo «un Paese attrattivo e con forte mobilità in ingresso e in uscita». La chiave di lettura potrebbe però non essere così rosea. Perché se alle frontiere si registrano movimenti da record, in qualunque direzione, l’aggravante rispetto al passato è che si nasce sempre di meno e si muore sempre di più. E se l’Italia non versa ancora nel più rigido inverno demografico, per buona parte lo deve al contributo numerico degli immigrati. Non è una novità, ma dati alla mano repetita iuvant.
Colmare il divario tra immigrazione e integrazione – si pensi anche al recente esito referendario sulla cittadinanza – resta una sfida sociale estremamente complicata a tutte le latitudini. È comunque giusto sapere che lo straniero che oggi si stanzia in Italia ha in media 29 anni, proviene da quei Paesi le cui comunità hanno già una presenza massiccia sul nostro territorio (oltre a quelli suddetti, anche Romania e Marocco), è naturalmente in cerca di opportunità economiche a medio-basso reddito, ma talvolta dispone anche del titolo di studio necessario per sopperire a quei cittadini che invece cercano fortuna all’estero.
Il dibattito politico, il governo e il Paese farebbero bene a focalizzarsi su quest’ultimo aspetto, di ancora più difficile soluzione. Che almeno sia chiaro il punto di partenza: tra saldo naturale (nascite meno decessi) ed espatri, l’Italia ogni anno perde quasi mezzo milione di persone. Come se sparisse dalla mappa una città più grande di Bologna. Questo sì è spaventoso.
Di Francesco Gottardi
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