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Italo Balbo, l’enigma della sua storia

La storia di Italo Balbo, il gerarca più intelligente e controverso. “L’unico che avrebbe il coraggio di uccidermi”, disse Mussolini.
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Italo Balbo, l’enigma della sua storia

La storia di Italo Balbo, il gerarca più intelligente e controverso. “L’unico che avrebbe il coraggio di uccidermi”, disse Mussolini.
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Italo Balbo, l’enigma della sua storia

La storia di Italo Balbo, il gerarca più intelligente e controverso. “L’unico che avrebbe il coraggio di uccidermi”, disse Mussolini.
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La storia di Italo Balbo, il gerarca più intelligente e controverso. “L’unico che avrebbe il coraggio di uccidermi”, disse Mussolini.
Questo articolo è in qualche modo frutto del lavoro per l’inserto da noi pubblicato alla vigilia di Natale e che per 10 giorni ancora resterà a vostra disposizione in edicola. Italo Balbo non sarebbe mai rientrato nel novero delle figure scelte per l’ottava pagina del weekend (ora raccolte in 32 pagine) perché fu fascista della prima ora, violento ed estremo, ras indiscusso della natia Ferrara. Come tutte le persone intelligenti e coraggiose (e lo fu in misura enorme), sapeva però leggere la realtà con il dovuto disincanto. Lui, gerarca e quadrumviro della marcia su Roma, fu lontano anni luce da soggetti cupi, inquietanti o macchiettistici come Farinacci, Pavolini o Starace. Aviatore e trasvolatore di leggendaria audacia, proprio grazie a questa bruciante passione conobbe il mondo. Una differenza gigantesca rispetto agli altri capi del fascismo, con la sola parziale eccezione di Galeazzo Ciano. Leader o presunti tali chiusi in un’autoreferenzialità che sfociava in una clamorosa ignoranza di Paesi, usi, economie, forze militari. In una parola, della realtà. Balbo affascinò e rimase affascinato dagli Stati Uniti d’America, in occasione delle sue crociere aeree lungo le due coste degli Usa. L’accoglienza che gli fu riservata fu clamorosa e indispettì non poco il capo. «L’unico che avrebbe il coraggio di uccidermi», ebbe a dire Mussolini con una nota di paradosso quanto mai sincero. Quella fascinazione lasciò in Balbo una traccia profonda, convincendolo via via che l’Italia avesse scelto la parte sbagliata. Non per scrupoli morali, ma per una fredda analisi di fatti e circostanze. Spedito in Libia come governatore della colonia, all’apice della sua popolarità e per ridurne l’influenza in patria, Balbo assorbì il colpo di quella ‘promozione’, ergendosi a vero e proprio viceré libico. Ridisegnò l’idea stessa della ‘quarta sponda’, dotando la colonia di una capitale degna, Tripoli, e di infrastrutture all’epoca impensabili. Emblematica la strada litoranea da lui voluta e chiamata, appunto, Via Balbia. Del resto, 90 anni dopo, in Libia sono ancora chiarissimi i segni della sua impronta. Tutto questo è arcinoto, molto meno ciò che è emerso dalla desecretazione dei documenti dell’Archivio di Stato italiano che hanno permesso di ricostruire sue precise volontà. Italo Balbo, nel 1937, propose a Mussolini di concedere la cittadinanza italiana agli arabi di Libia, dopo aver già chiesto che fosse loro assicurata un’istruzione adeguata. Scrisse a Mussolini, conscio del terreno scivoloso: «Certo, occorrono dei requisiti: almeno 21 anni di età, la fedina penale candida, la terza elementare… ma è una cittadinanza italiana piena». Per Balbo, non esistevano ostacoli religiosi, come sottolineò in un convegno a Roma nel 1938: «Il governo non ha mai favorito in Libia alcuna forma di proselitismo religioso inteso a convertire i musulmani. Anzi, ha manifestato il suo interessamento a favore del culto islamico intervenendo generosamente per restaurare vecchie moschee e costruirne di nuove, anche dove le popolazioni nomadi sinora non avevano mai potuto genuflettersi all’Onnipossente». Parole quasi incredibili per un gerarca fascista, pronunciate nel 1938, l’anno dell’imperitura vergogna delle leggi razziali.  Balbo ne fu avversario dichiarato ma all’italiana, solo nella cerchia più ristretta, ‘accontentandosi’ di difendere i tanti amici ebrei della sua Ferrara, senza esporsi pubblicamente contro quello scempio voluto da Mussolini in ossequio a Hitler. Una nota di merito sul piano personale che non gli va negata, ma che Balbo non ebbe la forza di portare su un livello diverso. Forse perché consapevole dell’inutilità di un atto di ribellione isolato, forse per non mettere a rischio amici che cercò di salvare come poté. Fatto sta che chinò la testa, come il suo amico-giornalista Nello Quilici, padre di Folco, che trovò la morte con lui nel 1940 nei cieli di Tobruk, in Libia, abbattuto per errore dalla contraerea dell’incrociatore italiano San Giorgio. Nessun dubbio sulle lacrime di coccodrillo di Mussolini, ma da qui a farne il mandante del suo presunto omicidio ce ne passa. Così come non ha alcun senso ipotizzare cosa avrebbe potuto fare il Maresciallo dell’aria, con l’approssimarsi dell’inevitabile sconfitta e del crollo del fascismo. Balbo non c’era più, ma resta l’eco delle sue gesta e della sua originalità in un’era di tetro conformismo. Come resta l’omaggio reso dagli inglesi dopo la sua morte: una corona di fiori lanciata nel mare di Tobruk, per omaggiare un dichiarato e fiero avversario, ma forse mai nemico fino in fondo. di Fulvio Giuliani

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