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L’Italia del pessimismo trionfante

Quando siamo diventati così pessimisti? Guardatevi intorno. Come potrebbe essere altrimenti, in un Paese che parla ossessivamente di paure?

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L’Italia del pessimismo trionfante

Quando siamo diventati così pessimisti? Guardatevi intorno. Come potrebbe essere altrimenti, in un Paese che parla ossessivamente di paure?

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L’Italia del pessimismo trionfante

Quando siamo diventati così pessimisti? Guardatevi intorno. Come potrebbe essere altrimenti, in un Paese che parla ossessivamente di paure?

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Quando siamo diventati così pessimisti? Guardatevi intorno. Come potrebbe essere altrimenti, in un Paese che parla ossessivamente di paure?

Quando siamo diventati così pessimisti? Guardatevi in giro, parlate con i vostri amici, colleghi e parenti. Ascoltate il tono dei commenti intercettati in metropolitana o al bar. Il pessimismo domina, in tutte le sue forme. Come potrebbe essere altrimenti, in un Paese che parla ossessivamente di paure? Paura del futuro, paura del diverso, paura dello straniero, paura delle pensioni che non ci saranno, paura del lavoro che non c’è.

Scrivevamo appena pochi giorni fa degli ennesimi dati agghiaccianti sul calo demografico italiano che – a valle di qualsiasi ragionamento – è la prova provata di quanto il pessimismo si stia impadronendo della nostra vita. Con il massimo rispetto delle scelte individuali, la litania sempre uguale che spiegherebbe la rinuncia a far figli è una somma di atti di sfiducia nel futuro che ci aspetta. Il tema, oltre al non poter fare figli, è anche il non volerli fare.

Ricordarlo non significa giudicare nessuno, richiama solo alla realtà. I politici di qualsiasi colore pronti a favoleggiare di un’età pensionabile stabile nel tempo, in una condizione del genere, sono degli irresponsabili di fatto ma non più di chi li vota. Perché impegnare energie e capitale politico nella realizzazione di servizi realmente funzionanti e accessibili per le famiglie, se posso cavarmela con un paio di frasi sul sacro diritto della pensione a 64 anni da qui all’eternità?

Parliamo, allora, di questa politica dominata dal concetto stesso di paura. Nessuno cerca voti descrivendo immagini di gioia, speranza e tensione alla felicità: è una continua caccia al pessimismo più funzionale, che passa dal nemico più utile.

Stando alle paure, l’immigrazione è un caso sin troppo facile da richiamare e ci asterremo. Ma parliamo di sicurezza: il sentiment generale è quello di essere condannati alle giungle d’asfalto, la narrazione social parla di una violenza dilagante, dell’impossibilità di vivere e circolare. Fermi tutti: stiamo scrivendo che non abbiamo problemi di sicurezza o che non ci siano aree d’Italia a rischio o direttamente sottratte al controllo dello Stato? Lo denunciamo di continuo, solo non accettiamo la semplicistica vulgata secondo cui vivere a Roma sia paragonabile a Rio de Janeiro o Nairobi, in termini di violenza comune e rischi per il cittadino.

Dove paure e pessimismo fanno disastri inenarrabili è nel rapporto con i nostri figli, con i giovani. Non facciamo che ripetere sempre la stessa solfa, asfissiandoli con un solo concetto: non hanno futuro. Mentre lo diciamo, siamo proprio noi a negar loro possibilità e sbocchi, difendendo con le unghie e con i denti un mercato del lavoro incartapecorito, progressioni di carriera buone per il XX secolo e quel sistema pensionistico insostenibile di cui sopra.

Guai a dirlo, si passa per attentatori dei diritti costituiti e volgari capitalisti dal canino insanguinato. Forse siamo soltanto stufi di sentir raccontar balle.

di Fulvio Giuliani

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