Si arriverà al punto in cui il gioco degli scacchi sarà considerato sessista. Così, la Regina che prima si muoveva come voleva, si muoverà solo di uno. Come il Re. Mio nonno mi insegnò a giocare a scacchi che ero piccolissima. Se non ricordo male intorno ai quattro o cinque anni. Era il mio gioco preferito. È morto quando ne avevo dodici. Non ho avuto il tempo di batterlo. Nemmeno una volta. Gli dicevo sempre: «Non farmi vincere, un giorno vincerò per bravura». Probabilmente non lo batterei nemmeno oggi, se fosse ancora vivo.
Mi ha insegnato anche a guidare la moto. In questo, fino a qualche anno fa, ero veramente abile. Ha tentato inoltre con le basi della fotografia. Qui sono deficitaria. Ho una bellissima Nikon del 1950 che sonnecchia in una scatola di latta: non la so usare bene, ma posso sempre imparare.
Come vorrei averlo ancora vicino a me, che mi sorride come quando al parco le mamme ci guardavano storto perché cantavo a squarciagola sull’altalena “Grande figlio di puttana”, canzone scritta da Lucio Dalla e Gianfranco Balduzzi. Lo vorrei vicino per chiedergli dove stiamo ‘ciccando’ la bracciata. Lui così poco canonico, pronto a trasmettermi spunti che quarant’anni fa raramente venivano proposti a un bambino, figuriamoci a una bambina.
Dove stiamo stonando nonno? Mi dicevi sempre che la Regina si muove sulla scacchiera senza limiti. E ora ho proprio la sensazione che dietro tantissime giuste e sacrosante battaglie di parità, si celi l’infido e paradossale pericolo di scivolare e finire come il Re. Che si muove solo di uno.
di Laura Malfatto
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