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Genitori

L’abisso e noi, conoscerlo ed evitarlo

Tragedia Giulia Cecchettin. Noi genitori siamo in grado, oltre che di impartire lezioni ed esempi (cosa di per sé difficile), di saper “leggere” i nostri figli?
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L’abisso e noi, conoscerlo ed evitarlo

Tragedia Giulia Cecchettin. Noi genitori siamo in grado, oltre che di impartire lezioni ed esempi (cosa di per sé difficile), di saper “leggere” i nostri figli?
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L’abisso e noi, conoscerlo ed evitarlo

Tragedia Giulia Cecchettin. Noi genitori siamo in grado, oltre che di impartire lezioni ed esempi (cosa di per sé difficile), di saper “leggere” i nostri figli?
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Tragedia Giulia Cecchettin. Noi genitori siamo in grado, oltre che di impartire lezioni ed esempi (cosa di per sé difficile), di saper “leggere” i nostri figli?
Sul rischio di una ridondanza legislativa il nostro quotidiano si è ampiamente speso negli ultimi giorni, con le riflessioni di Davide Giacalone e Carlo Fusi sulla reazione della politica alla tragedia di Giulia Cecchettin. È difficile non ricordare i cospicui sforzi, oltretutto bipartisan, che hanno portato al varo di un quadro normativo sicuramente perfettibile ma altrettanto all’avanguardia sul tema, come l’inestricabile nodo della certezza della pena. Passando irritualmente alla prima persona e abbandonando le letture giuridiche, credo si debba guardare la realtà nel suo complesso. Chiedersi, con onestà intellettuale e – nei limiti del possibile – senza farsi trascinare dall’impressione umanissima e sconvolgente per quanto accaduto, se si possa fare qualcosa di più e diverso in ambito familiare. Arriverò alla scuola, ma vorrei partire proprio da mamma e papà, dalla capacità di noi genitori non solo di impartire lezioni ed esempi (cosa di per sé difficile) ma di saperleggerei nostri figli oltre quel tanto, poco o pochissimo di trasparente. Educare non può essere soltanto insegnare imprescindibili regole di vita in comunità, il rispetto degli altri e di sé stessi, l’intangibilità della persona e dei diritti altrui. Educare significa anche (dal latino educere, “tirar fuori”) scavare, conoscere e capire per intervenire. Sia chiaro, non stiamo parlando delle famiglie direttamente coinvolte nello strazio di Giulia Cecchettin, perché non osiamo neppure immaginare cosa possa significare per un padre perdere una figlia e per due genitori scoprire l’abisso più nero e atroce nel proprio figlio. Va tentata una riflessione più generale: chiedersi se siano innanzitutto i genitori a doversi riconsiderare, a interrogarsi su quanto sappiano o non sappiano interpretare comportamenti e segnali. Su quanto tempo sappiamo concedere agli aspetti più delicati e immateriali di quel lavoro meraviglioso e spaventoso che è crescere e lasciare andare nel mondo le nostre creature. Parlandone pochi giorni fa in tv mi è stato chiesto come vivessi, da direttore di un quotidiano che fa del riconoscimento del merito un architrave della nostra società, l’ipotesi che i nostri ragazzi ormai siano ineducati a gestire iNoe gli inevitabili fallimenti piccoli e grandi della vita, al punto da poter in casi estremi arrivare a perdere il controllo. Credo che la meritocrazia stessa nasca innanzitutto dalla capacità di riconoscere l’altro. Chi crede nell’individuo e nelle sue potenzialità non può tollerare alcuna sopraffazione. Figurarsi la violenza. Riusciamo, in famiglia, a sviluppare la consapevolezza che il nostro stesso successo nella vita discenda anche dal rispetto di scelte, pareri e talvolta giudizi altrui? Ne discutiamo mai? È qualcosa di più e di diverso dalle pur fondamentali indicazioni di buoni comportamenti. Non possiamo accettare l’incapacità di ascoltare le ragioni degli altri. Di riconoscerne i sentimenti, più che mai quando eventualmente mutati nei nostri confronti. I genitori non sono psicologi ma devono prendere coscienza che il mondo dei nostri figli procede a una velocità tale da far apparire superati molti degli schemi educativi di un tempo. Non si tratta di rinnegare il passato e l’educazione che abbiamo ricevuto ma di saperla aggiornare. Accennavo alla scuola, cui con una certa superficialità si chiede di ‘saper intervenire’, soprattutto dopo le tragedie. Peccato che a chiederlo siano gli stessi impegnatissimi a demolire l’idea di una scuola al passo con i nostri tempi. Si pretende da professori abbandonati al loro amor proprio di essere interpreti della società che cambia e delle tensioni fra i generi. Ne demoliamo ogni giorno l’autorevolezza davanti ai nostri figli e poi ci lamentiamo se non riescono a prevenire. Cosa? La spontanea mobilitazione dei ragazzi è un’occasione per spronarli ad aprirsi e confrontarsi. Se necessario, a uscire dalle stanzette in cui talvolta – pur con le migliori intenzioni – noi mamme e papà ci illudiamo di poterli rinchiudere per proteggerli.   di Fulvio Giuliani

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