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Le balle che raccontiamo ai ragazzi

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Il mondo della scuola e quello del lavoro lasciati a debita distanza, prediligendo il mondo TikTok a quello LinkedIn (con conseguenze evidenti)

Le balle che raccontiamo ai ragazzi

Il mondo della scuola e quello del lavoro lasciati a debita distanza, prediligendo il mondo TikTok a quello LinkedIn (con conseguenze evidenti)

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Le balle che raccontiamo ai ragazzi

Il mondo della scuola e quello del lavoro lasciati a debita distanza, prediligendo il mondo TikTok a quello LinkedIn (con conseguenze evidenti)

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Episodio di vita vissuta in mezzo ai ragazzi.
Torino, platea di liceali fra il quarto e il quinto anno: si parla di futuro, era digitale, formazione e lavoro. Faccio una domanda, solo un gioco, chiedendo quanti di loro abbiano un profilo TikTok e quanti uno LinkedIn. Tutti TikTok, nessuno – fra le ragazze e i ragazzi davanti a me – del social nato per il mondo del lavoro e oggi sviluppatosi in un ecosistema molto più ampio e variegato.

Gli adulti presenti in sala sobbalzano sulla sedia e commentano all’unisono: “Vabbè, ma sono solo dei ragazzi!”. A parte la plastica rappresentazione dei luoghi comuni sull’età “minima“ (o “massima“) necessaria a frequentare questo o quel social, è impressionante la gabbia mentale che abbiamo costruito e in cui costringiamo i nostri figli.

Nel prosieguo del dibattito, infatti, il preside di un liceo torinese – nel riprendere il mio gioco e credendo di sfruttarlo secondo la sua legittima idea di formazione – ha poi sottolineato quanto fosse giusto e importante che nessuno dei ragazzi avesse un profilo LinkedIn, “Perché a scuola non dobbiamo formare dei lavoratori, ma degli uomini“. Al che, lo ammetto, sono sobbalzato io sulla sedia, mi sono aggrappato ai braccioli cercando di non esplodere, perché non ne posso più di questo pezzo di mondo della scuola (e anche dell’università) secondo il quale il lavoro – se non è il grande nemico – va almeno tenuto a distanza. Vorrei capire aspettando chi o cosa…

Il mondo dell’impresa, per essere più precisi, è un mostro da esiliare dalle aule, perché corromperebbe i delicati animi giovanili, impedendo la formazione di donne e uomini degni di questo nome e non solo di macchine da profitto. Un’idea del lavoro da padroni delle ferriere che in pieno III millennio lascia attoniti. Un modo di ragionare incredibile, in un Paese – lo scrivevamo appena ieri – che ogni anno butta al macero centinaia di migliaia di posti di lavoro perché i nostri ragazzi non vengano formati bene. Perché le scuole non funzionano, perché ne laureiamo troppo pochi, perché i coetanei in tanti Paesi nostri concorrenti ci mangiano in testa. Ma l’importante è che “La scuola non debba preparare dei lavoratori“.

Chi mai potrebbe pensare di formare un essere umano consapevole e cosciente solo sulla base delle qualità professionali? Come si può mai pensare di scindere le capacità necessarie alle future professioni da un’adeguata formazione culturale, per tacere di quella psicologica e morale? Non oserei neppure ipotizzare una scuola tesa solo al lavoro, ma sono anche arcistufo di questi adulti che mandano allo sbaraglio i ragazzi in un mondo ultra competitivo disarmati.

Invece di ridere del mio invito ad aprire un profilo LinkedIn e cominciare a esplorare il mondo, dovrebbero provare a capire di cosa stessi parlando ma i primi a essere nostalgicamente rimasti nel XX secolo sono proprio loro.

di Fulvio Giuliani

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