Le solite scuse, invece di chiedere scusa
Le solite scuse, invece di chiedere scusa
Le solite scuse, invece di chiedere scusa
La massima latina recita «Errare humanum est, perseverare autem diabolicum». Tirare in ballo gli amici gay se si dice una bestialità sugli omosessuali, quelli di colore se scappa una cretineria razzista o ricordare gli ascendenti terroni se si è fatta una battuta indecente su un ragazzino di Cosenza significa solo apparecchiare una pezza invariabilmente peggiore del buco.
In questo Paese, ormai, si è completamente smarrita la buona e civile abitudine di chiedere scusa. Deve evidentemente apparire un sintomo di debolezza o di chissà quale insopportabile sottomissione, se ormai sembra essere escluso poter ammettere di aver sbagliato. Come anche scegliere un dignitoso silenzio. La vicenda tragicomica della conduttrice televisiva veneta, incappata in un brutto strafalcione con un piccolo tifoso del Cosenza calcio, è soltanto l’ultimo episodio (per ora, state sereni) in cui prima non si è stati capaci di controllare le proprie sinapsi e le parole che uscivano di bocca, per poi cercare affannosamente di recuperare in modo maldestro e vagamente patetico. Di Fonzie, leggendario personaggio del telefilm anni Settanta e Ottanta “Happy Days” che non riusciva a pronunciare la parola “scusa”, ce n’è solo uno e lo ricordiamo tutti con affetto perché sapeva farsi perdonare in altro modo. Chiunque lo imiti anche inconsapevolmente rischia unicamente figure barbine e di far rimpiangere un’epoca in cui era considerato sintomo di personalità riconoscere i propri errori e chiedere scusa guardando negli occhi la persona offesa.
di Marco SallustroLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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