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Livori usuranti

La questione del lavoro, troppo spesso visto come supplizio, condanna, schiavitù.
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Livori usuranti

La questione del lavoro, troppo spesso visto come supplizio, condanna, schiavitù.
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Livori usuranti

La questione del lavoro, troppo spesso visto come supplizio, condanna, schiavitù.
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La questione del lavoro, troppo spesso visto come supplizio, condanna, schiavitù.
C’è un’ideologia tardo operaista che è mutata geneticamente, capovolgendosi in un pregiudizio contro il lavoro. Visto solo come supplizio, condanna, schiavitù. In quel mondo di pene si prova a entrarci il più tardi possibile e a uscirne il più presto possibile. Così rompendo il nesso fra reddito e lavoro, fra ricchezza e produzione. In quella rottura sparisce quel che la nobiltà operaia aveva ben chiaro: l’etica del lavoro. Certo che non è la sola cosa importante nella vita, ma una vita senza lavoro non è una vita vissuta, solo transitata.

Il lavoro non è esclusivamente la deprivazione monetizzata del mio tempo, che se fossi ricco terrei tutto per me.

È anche cultura, relazione sociale, confronto. Certo, non tutti i lavori sono uguali, ma in tutti non c’è solo il capo insopportabile e il collega indisponente, perché non è mica normale questa generale insofferenza verso gli altri. Diciamo che sono livori usuranti, versione comportamentale della convinzione economica che consumare sia un diritto di cittadinanza, mentre produrre un peso cui sottrarsi. Ma non è evidente che ci sono lavori che non possono essere fatti a lungo? Sono i ‘lavori usuranti’ e i lavoratori che li fanno hanno diritto ad andare in pensione prima. Dal punto di vista contabile, significa che hanno diritto a un regalo da parte degli altri lavoratori, grati per quel che hanno fatto. Ed è giusto, mica puoi stare in miniera fino a 66 anni. Ma neanche fino a 63, se è per questo (posto che la media reale dell’età in cui si va in pensione è 62, sicché ci prendiamo in giro). All’elencazione dei lavori usuranti si è dedicata una commissione, che pur essendo stata severa e avendo scartato qualche centinaio, o migliaio, di candidature all’essere usurati, ha fatto crescere il numero riconosciuto da 15 a 203. Deve essere il logorio della vita moderna, non rimediabile con Ernesto Calindri e un Cynar. Usurante assai è fare il bidello o insegnare in classe con dei bambini. Sul serio?

Usurante è fare il cassiere. Ma veramente? Tutti i lavori sono importanti, ma è insensato siano anche tutti usuranti.

Così andando la cosa più usurante è essere giovani, perché quelli d’età superiore si presero tutto il prendibile dalla spesa pubblica e dalla promessa che lo stato sociale paghi la pretesa di non lavorare quanto serve a finanziare la propria pensione. Ma vedrete che nessuno farà politica in modo sufficientemente serio da dirlo. Candidati ed eletti riceveranno lettere (mail, ora sono mail, la lettera s’è usurata) in cui un bagnino reclamerà il suo come lavoro usurante e risponderanno: ha ragione, piuttosto che: suvvia. Nel corso della campagna elettorale tedesca, che volge al termine, uno dei candidati ha promesso di fermare l’immigrazione e l’altro non gli ha risposto invocando la bontà, ma chiedendogli chi pensa di mandare al lavoro per sostenere la produzione, vista l’età media crescente dei tedeschi. E questo è essere persone serie, non pupazzetti divisi in buonisti e cattivisti. Charlie Mullins è nato in una famiglia povera inglese, figlio di un operaio e di una donna delle pulizie. Abitavano in due stanze a Camdem Town. Quando aveva 15 anni lo ritirarono dalla scuola e, per pochi soldi, lo mandarono a lavorare come aiutante idraulico. Non ha mai smesso di lavorare. Si è un po’ allargato. Ha scoperto che tutti hanno bisogno dell’idraulico e molti in modo disperato. Avendo riparato il lavandino di qualche personaggio famoso lo ha fatto sapere in giro, ha assunto a sua volta aiutanti per star dietro al da farsi e ora si ritira, a 68 anni, vendendo il 90% della sua società, per un valore che oscilla fra 145 e 163 milioni di euro. Fortuna, bravura, tenacia. Certo, ma anche etica del lavoro e la certezza che nulla è più usurante della miseria.   Di Davide Giacalone

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