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Lo dobbiamo a loro

Ci sono immagini che ci tormenteranno per sempre. Come non pensare a quei bambini che un ospedale non lo troveranno più. A quei piccoli per cui c’è solo dolore e paura che rimarrà per tutta la vita.
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Lo dobbiamo a loro

Ci sono immagini che ci tormenteranno per sempre. Come non pensare a quei bambini che un ospedale non lo troveranno più. A quei piccoli per cui c’è solo dolore e paura che rimarrà per tutta la vita.
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Lo dobbiamo a loro

Ci sono immagini che ci tormenteranno per sempre. Come non pensare a quei bambini che un ospedale non lo troveranno più. A quei piccoli per cui c’è solo dolore e paura che rimarrà per tutta la vita.
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Ci sono immagini che ci tormenteranno per sempre. Come non pensare a quei bambini che un ospedale non lo troveranno più. A quei piccoli per cui c’è solo dolore e paura che rimarrà per tutta la vita.
Oggi, la riflessione sulla guerra in Ucraina non parte dalla situazione sul terreno, dal default giudicato ormai “imminente“ della Russia colpita dalle sanzioni o degli spiragli diplomatici che ieri abbiamo intravisto nelle parole del presidente ucraino Zelensky (un personaggio che acquista caratura e dimensione di ora in ora, alla faccia dei quintocolonnisti del nostro Paese. Torneremo sul punto). La considerazione è per una volta personale: ieri, dopo un banale incidente domestico, ho passato il pomeriggio in un pronto soccorso con il mio bimbo più piccolo. Sono cose che succedono, per cui si mette in moto la macchina dell’assistenza sanitaria e soprattutto dell’amore incondizionato per i pupi. Come non pensare, mentre seguivo mio figlio in una struttura organizzata, pulita e ordinata, fra infermieri e medici attenti, professionali e pronti a un sorriso e a uno gioco con un bambino innervosito da un ambiente nuovo e per lui incomprensibile, a quei bambini che negli stessi minuti un ospedale non lo avrebbero trovato più. Ai piccoli per cui c’è solo dolore, distruzione, una paura che non ti lascerà per tutta la vita. Addirittura la morte in un ospedale ridotto all’impotenza dai missili e dalle bombe lanciati su ordine di un uomo allucinato e ossessionato. Come non pensare, mentre noi possiamo trovare e dare tutto ai nostri figli, a quei genitori che scappano con la vita chiusa in un trolley, per trovare la morte in una strada senza nome. A quella mamma e a quel papà poco più che ragazzi e al loro fagottino in fin di vita fra medici che non hanno più nulla per salvarlo. Immagini che ci tormenteranno per sempre, se siamo ancora uomini, che impongono la massima severità nei confronti di chi ha voluto tutto questo. Soluzioni, diplomazia, trattative sulle repubbliche “indipendente“ e le future alleanze… tutto quello che servirà, ma con la fermezza che l’Occidente ha mostrato ancora una volta ieri, cominciando a tagliare a Putin l’unica cosa che abbia: la ricchezza del suo sottosuolo. Siamo lontani dal colpo definitivo, il blocco delle importazioni in Europa per i ben noti motivi, ma la strada è quella e – come si accennava – la Russia corre verso il fallimento. Per quanto mi costringa a guardarli, non sopporto più chi cerca ancora i distinguo, chi definisce l’uomo di Mosca “un leader“ (incredibilmente ascoltato in televisione ieri sera), chi critica Zelensky adombrando rese e cedimenti pur di finirla qui e trovare un accomodamento. Senza neppure avere il coraggio di dirlo, mascherandosi dietro il solito pacifismo peloso, unidirezionale e condannato dalla storia. Non lo possiamo consentire, se vogliamo ancora guardare in faccia i nostri figli e un domani raccontar loro con decenza e rispetto cosa sia accaduto in Ucraina. Di come abbia reagito il nostro mondo a una violenza così cieca e assurda da cancellare il futuro, le speranze e la vita dei più indifesi. Ne va della nostra dignità e della possibilità di chiamarci ancora uomini.   di Fulvio Giuliani

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