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Lo Swatch, l’orologio che cambiò il tempo

La storia dello Swatch, l’orologio che – nato da un’intuizione di Nicolas Hayek – cambia completamente la percezione del pubblico verso quella tipologia di accessorio

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Lo Swatch, l’orologio che cambiò il tempo

La storia dello Swatch, l’orologio che – nato da un’intuizione di Nicolas Hayek – cambia completamente la percezione del pubblico verso quella tipologia di accessorio

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Lo Swatch, l’orologio che cambiò il tempo

La storia dello Swatch, l’orologio che – nato da un’intuizione di Nicolas Hayek – cambia completamente la percezione del pubblico verso quella tipologia di accessorio

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La storia dello Swatch, l’orologio che – nato da un’intuizione di Nicolas Hayek – cambia completamente la percezione del pubblico verso quella tipologia di accessorio

All’alba degli anni Ottanta in Svizzera c’è un problema. Uno di quelli belli grossi, dato che coinvolge una delle industrie che fanno da pilastro all’economia del Paese: quella degli orologi. La lenta agonia in realtà è iniziata qualche anno prima, il giorno di Natale del 1969, quando nei negozi approda il primo modello al quarzo – l’Astron – realizzato dall’azienda giapponese Seiko. Il successo del prodotto nipponico è pressoché immediato: moderno ed economico, per giunta più preciso di un qualsiasi orologio meccanico, apre la strada a tutta una serie di modelli analoghi che in pochi anni conquisteranno il mercato. In Svizzera fanno il pessimo errore di considerarla nulla più che una moda del momento. Ma le cose non stanno esattamente così e nel 1980 saranno già andati persi due terzi della forza lavoro impiegata nell’industria, oltre a una ragguardevole quota di mercato.

Sembra una discesa destinata a non finire più. Ma il destino sta per cambiare e si manifesta nelle sembianze di Nicolas Hayek, consulente aziendale di Zurigo che era stato incaricato di liquidare due delle storiche aziende del settore: la Ssih e la Asuag. L’idea di Hayek è molto semplice: fondere le due compagnie, ottimizzare i costi di produzione, realizzare un oggetto al passo con i tempi e investire pesantemente nella pubblicità. Il consulente scopre che da qualche anno una delle aziende controllate dalla Asuag sta lavorando a un prototipo di orologio – sottile e completamente in plastica – da realizzare tramite un processo tecnologico innovativo al punto da consentirne la produzione a costi contenuti. Lo ha progettato un ingegnere di nome Elmar Mock, su disegno del suo collega Jacques Muller. Hayek capisce che quella è l’idea giusta. Nonostante i primi tentativi siano tutt’altro che incoraggianti (con i primi prototipi che smettevano di funzionare nel giro di poche ore), la sperimentazione va avanti. Un paio di anni dopo il primo esemplare è pronto per entrare nel mercato. Ma non ha ancora un nome. A quel punto arriva l’intuizione: basta fondere la parola “swiss” (svizzero) e con l’inglese “watch” (orologio) e il gioco è fatto. È appena nato lo Swatch.

La campagna di lancio mira a identificarlo come qualcosa di semplice, colorato, in linea con lo spirito degli anni Ottanta. Un accessorio più pop che glamour. «Si può cambiare ogni giorno come una cravatta» recitava uno dei primi claim pubblicitari. Il successo è clamoroso, al punto che sin da subito si moltiplicano i modelli e lo Swatch cambia completamente la percezione del pubblico verso quella tipologia di accessorio. Non più uno strumento per misurare lo scorrere dei minuti ma qualcosa che, in un certo senso, quel tempo lo vive. Nel 1985 artisti di fama mondiale come Damien Hirst, Vivienne Westwood e Keith Haring vengono ingaggiati come designer. E negli anni Novanta il brand fa la sua comparsa nei primi punti vendita monomarca a Times Square e sugli Champs Élysées. È la definitiva vittoria dell’innovazione sulla tradizione ma è anche la mossa che cambia le regole di un’industria, salvandola dal baratro.

Hayek si godrà i frutti della sua geniale intuizione fino al 2010, anno della sua scomparsa. A proposito degli inizi, amava ricordare: «Quando presentavo il progetto alle banche per ottenere finanziamenti, mi ridevano in faccia». E invece aveva ragione lui. A dimostrazione che la fantasia, quando va al potere, può veramente fare la rivoluzione. Anche soltanto se armata di un orologio.

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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