Perché la morte di Mario Finotti riguarda tutti noi
Mario Finotti, 91 anni, si è calato dal primo piano della casa di riposo servendosi di coperte annodate; non fuggiva ma cercava la libertà. La gestione degli anziani è un problema che non possiamo più ignorare.
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Perché la morte di Mario Finotti riguarda tutti noi
Mario Finotti, 91 anni, si è calato dal primo piano della casa di riposo servendosi di coperte annodate; non fuggiva ma cercava la libertà. La gestione degli anziani è un problema che non possiamo più ignorare.
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Mario Finotti, 91 anni, si è calato dal primo piano della casa di riposo servendosi di coperte annodate; non fuggiva ma cercava la libertà. La gestione degli anziani è un problema che non possiamo più ignorare.
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Mario Finotti, 91 anni, si è calato dal primo piano della casa di riposo servendosi di coperte annodate; non fuggiva ma cercava la libertà. La gestione degli anziani è un problema che non possiamo più ignorare.
Sono le prime ore del mattino di martedì 18 gennaio, per strada solo il rumore delle tazzine e dei camion della spazzatura. Mario Finotti, 91 anni, con una lucidità disarmante decide di procurarsi una via di fuga dalla casa di riposo che lo ospita da pochi mesi; prende delle coperte annodate e prova a calarsi dalla finestra del primo piano. Mario, com’era prevedibile, perde la presa e cade. Un impatto per lui fatale.
L’astuzia e la minuzia del gesto quasi sorprendono, forse perché Mario ha una certa età, quasi a credere che ad un certo punto le persone, logorate dalla vecchiaia, perdano assieme alle forze anche la propria natura.
Secondo l’ex presidente della casa di riposo Opera Pia Bottoni di Papozze (Rovigo), Diego Guolo, si è trattato di un tentativo non di fuga bensì di ritorno. La casa di Mario, infatti, si trovava poco distante dalla struttura, in cui è stato trasferito la scorsa estate. La tragedia apre un enorme capitolo, che non si limita a un gesto disperato ma racconta di una direzione precisa verso cui questa società si sta inevitabilmente dirigendo.
Mario non era solo. Aveva dei nipoti, precipitatisi sul posto appena appresa la notizia. Tutta la comunità è rimasta sconvolta dall’accaduto, per non parlare degli infermieri, che in questo periodo di emergenza covid19 sostengono turni massacranti.
Perché la pandemia ha acuito un problema già esistente, quello della gestione di persone troppo mature per risultare un sostegno a questa società. Emarginati perché rallentati, in un’epoca in cui tempo non ce n’è mai.
Sempre più sole anche a causa di un’emergenza sanitaria che ha ridotto drasticamente la possibilità di visite a domicilio o in strutture di cura.
In Italia le case di cura rappresentano una delle poche possibilità per mettere al sicuro persone anziane, ma soprattutto per permettere a figli e nipoti di proseguire con la propria vita in un vortice in cui si diventa vecchi senza nemmeno accorgersene, con un’età legale di pensionamento a 67 anni.
Secondo l’Ocse l’Italia figura tra i sette Paesi che collegano l’età pensionabile alla speranza di vita. Stando a questo parametro, per l’Italia si parla di 71 anni.
Si smette di lavorare giusto in tempo per essere emarginati.
Quale diventa quindi il ruolo di queste persone? Bisogna chiedersi chi se ne prende cura se il lavoro occupa il 70% del percorso di vita di praticamente chiunque, senza tra l’altro permettere uno stipendio adeguato per assumere un’assistente familiare.
Il costo lordo di assunzione di una badante con un contratto di lavoro a tempo pieno deve tener conto di uno stipendio, stabilito dal contratto collettivo nazionale del lavoro conviventi e non conviventi, contributi Inps, ferie, festività nazionali, permessi, eventuale indennità di vitto e alloggio, tredicesima mensilità, trattamento di fine rapporto, per un ammontare netto non inferiore ai € 1498,77 mensili.
Così un figlio, un nipote, si ritrovano a dover scegliere se concedere autonomia al parente, nella speranza che possa mantenerla più a lungo possibile, o negargliela per il proprio bene, strappandoli alla propria casa e abitudini, delegandolo a chi se ne prenderà cura con spicchi di libertà sempre più effimeri.
In Italia gli anziani non autosufficienti che necessitano di assistenza continua hanno diritto a essere presi in carico da parte delle istituzioni pubbliche, sia sotto il profilo sanitario che socio-assistenziale.
Una cosa è certa: questi due anni hanno offerto una visione condivisa sull’isolamento e la solitudine, su ciò che può significare vedere limitata la propria libertà, ed è su questo che dovremmo lavorare, garantendo sostegno e dignità a coloro che per anni hanno sostenuto il paese e si ritrovano spesso senza un ruolo preciso.
Serve investire di più in iniziative sociali inclusive, che diano valore ai nostri anziani, offrendogli strumenti utili per una vecchiaia dignitosa.
Nonostante i suoi 91 anni, Mario non aveva nessuna intenzione di cedere, l’unica cosa che desiderava era godersi quello che gli restava da vivere in semplicità.
Mario Finotti era anziano ma la sua vita non valeva meno di quella degli altri. Il suo gesto dissennato è un fallimento della nostra società su cui dovremmo fermarci a riflettere.
di Elena Bellanova
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