Nord-Sud, storia di un baratro sotto i nostri piedi
I numeri del divario occupazionale (ed economico) Nord-Sud sono impressionanti ma impressiona molto più, ormai, l’assoluta indifferenza in cui alcune di queste cifre cadono
Nord-Sud, storia di un baratro sotto i nostri piedi
I numeri del divario occupazionale (ed economico) Nord-Sud sono impressionanti ma impressiona molto più, ormai, l’assoluta indifferenza in cui alcune di queste cifre cadono
Nord-Sud, storia di un baratro sotto i nostri piedi
I numeri del divario occupazionale (ed economico) Nord-Sud sono impressionanti ma impressiona molto più, ormai, l’assoluta indifferenza in cui alcune di queste cifre cadono
I numeri del divario occupazionale (ed economico) Nord-Sud sono impressionanti ma impressiona molto più, ormai, l’assoluta indifferenza in cui alcune di queste cifre cadono
I numeri del divario occupazionale (ed economico) Nord-Sud sono impressionanti, ma impressiona francamente molto più, ormai, l’assoluta indifferenza in cui alcune di queste cifre cadono. In un quadro come quello fornito ieri dall’Istat non privo di segnali positivi, la differenza fra Nord e Sud in termini di occupazione generale, numero di persone al lavoro, di chi studia o cerca un impiego e chi neppure lo fa più è spaventosa.
Non una novità, evidentemente, e questo spinge a farsi scivolare addosso la fotografia di una realtà sconfortante. Come si può pensare di andare avanti con una percentuale di disoccupati tripla nel meridione rispetto al settentrione? 4,6% al Nord, mentre al Sud siamo al 14%.
Colpiscono non solo la proporzione in se stessa, ma le realtà parallele, i due universi differenti in cui nascere, crescere e sviluppare i propri talenti che quei numeri descrivono.
Da una parte un sistema economico con un tasso di disoccupazione che si avvicina ai trascurabili livelli di alcune delle zone più ricche e competitive d’Europa e un altro in cui sin da bambino verrai su accompagnato dalla sconfortante litania del “Non c’è niente da fare qui, bisogna solo andar via”. O peggio: “Bisogna scappare appena si può“.
Da decenni queste non sono più parole, ma una durissima realtà. Un intero pezzo del nostro Paese si sta letteralmente svuotando delle migliori intelligenze, delle teste più pensanti, dei talenti più cristallini. Fatte le debite eccezioni, come sempre, e senza mai dimenticare i luminosi esempi che a macchia di leopardo si accendono anche nelle regioni meno sviluppate del Paese, quello che conta è il trend generale.
A restituire l’immagine più fedele del Sud Italia sono i numeri assoluti e questi ultimi non mentono, riflettendo un fenomeno che non aveva raggiunto questi picchi di pericolosità neppure nel pieno della grande emigrazione interna. Perché fra gli anni ‘50 e ‘60 il Nord richiamò sostanzialmente manodopera, succhiando dai campi o dalle periferie più degradate del meridione una forza lavoro che fu il carburante umano della tumultuosa crescita industriale del Paese. Le immigrazione dei laureati è un fenomeno dei nostri giorni.
Dagli anni ‘80 – decennio di incommensurabile agonia sociale per il Sud – sono progressivamente andati via sempre più cervelli. Abbiamo cominciato a desertificare un terzo del Paese di buona parte del proprio miglior talento e in questo caso non ci soccorre il principio dei vasi comunicanti: l’afflusso verso Nord del meglio disponibile (per tacere di quello verso l’estero) non viene pareggiato dallo sviluppo complessivo dell’Italia. Perché semplicemente un pezzo corre, produce, si internazionalizza, accetta la concorrenza e la competizione e l’altro resta sospeso sul ciglio del burrone di sempre, disperatamente agganciato ai sussidi.
Solo che si è compiuto un deciso passo in avanti verso il vuoto.
di Fulvio Giuliani
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche