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Sacher Trieste

Sacher amara

Non è stata una felicissima dichiarazione quella del sindaco di Trieste, ma via social si è scatenato il putiferio. L’invidia sociale fa male
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Sacher amara

Non è stata una felicissima dichiarazione quella del sindaco di Trieste, ma via social si è scatenato il putiferio. L’invidia sociale fa male
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Non è stata una felicissima dichiarazione quella del sindaco di Trieste, ma via social si è scatenato il putiferio. L’invidia sociale fa male
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Non è stata una felicissima dichiarazione quella del sindaco di Trieste, ma via social si è scatenato il putiferio. L’invidia sociale fa male
Dopo la pizza di Cracco in Galleria a Milano e quella di Briatore in via Veneto a Roma o a Porto Cervo, tocca alla torta Sacher dell’omonimo Caffè Sacher, appena inaugurato a Trieste. Una fetta costa “un botto”, se vogliamo usare un’espressione gergale e di sicuro effetto. Diciamo pure il doppio (8,90 euro) rispetto a una fetta di Sacher acquistabile nel raggio di duecento metri. Apriti cielo, con la (solita) litania del “dagli al ricco”, dei maledetti Cracco, chef e pasticcieri per danarosi in giro per il mondo. Affamatori del popolo senza scrupoli, insensibili profittatori del denaro altrui. Il sindaco di Trieste ci ha messo del suo con un’uscita stilisticamente non felicissima – «Se non hai in soldi, non ci vai» – e la frittata (o la torta venuta male) è fatta. Una sciocchezza grande come una casa, ripetuta da volenterose schiere di pappagalli dediti al cinico sfruttamento dell’invidia sociale.  Che volete farci, al giorno d’oggi poche cose funzionano più di un bel commento acido a carico del ricco e famoso o presunto tale, della stilettata finto-popolare di gente che ha fatto del demolire il prossimo una ragione di vita. Preferibilmente via social. Un indecoroso spettacolo in cui guadagnarsi l’applauso della folla finisce per essere sin troppo facile, utile soltanto a tratteggiare una società pericolosamente rosa da sentimenti poco nobili. Un tempo tenuti ben nascosti da chi li provava, oggi ostentati con incomprensibile orgoglio. Un caffè in Piazzetta a Capri o in Piazza San Marco a Venezia sono da sempre calamite per turisti e bon vivant, perfettamente consci ed eppure felici di farsi ‘spennare’ un po’ pur di poter godere di luoghi unici al mondo. Li vogliamo definire dei ‘fessi’? Anche questo è parte dell’impareggiabile “grande bellezza” che l’Italia offre al mondo. Non abbiamo alcun timore a scrivere che un certo tipo di prodotto – accompagnato da un determinato servizio e soprattutto in luoghi famosi in ogni angolo della Terra – sia più che legittimamente offerto a prezzi ben più alti che altrove. Vale poi la pena di ricordare che si fallisce anche in Galleria o in Piazza San Marco: la location non esime dall’esigenza di essere professionisti capaci, anzi. Prima che una legge di mercato è una questione di logica. Quale presunzione deve animare certi censori, mentre noi – poveri ingenui – continuiamo a pensare che non ci sia nulla di più bello e sano che lasciare a ciascuno la libertà di scegliersi anche i propri sfizi e le piccole gioie quotidiane. Senza dover essere inseguiti dal ditino alzato, accusatore e moralizzatore, dei Torquemada un po’ patetici dei nostri tempi.  Di Fulvio Giuliani

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