
Violenza immonda
Violenza immonda: in pienissimo centro a Napoli è stata spezzata la giovane vita di Giovanbattista Cutolo in circostanze che travalicano l’assurdo. Per uno scooter da spostare
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Violenza immonda: in pienissimo centro a Napoli è stata spezzata la giovane vita di Giovanbattista Cutolo in circostanze che travalicano l’assurdo. Per uno scooter da spostare
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Violenza immonda: in pienissimo centro a Napoli è stata spezzata la giovane vita di Giovanbattista Cutolo in circostanze che travalicano l’assurdo. Per uno scooter da spostare
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Violenza immonda: in pienissimo centro a Napoli è stata spezzata la giovane vita di Giovanbattista Cutolo in circostanze che travalicano l’assurdo. Per uno scooter da spostare
Solo ieri mattina una mia riflessione su Napoli apriva l’edizione cartacea de La Ragione. Un modesto tentativo di testimonianza e comprensione del “buco nero“ di Caivano e delle tante Caivano dell’hinterland partenopeo.
Nelle stesse ore in cui scrivevo di una faglia vecchia di decenni fra le diverse Napoli – quella scintillante, poetica, musicale e i gironi infernali che tanti fanno finta persino di non vedere – in pienissimo centro veniva spezzata una giovane vita in circostanze che travalicano l’assurdo. E di molto.
Per uno scooter da spostare, una frase considerata un’offesa insopportabile da un essere immondo. Sì, perché anche se appena sedicenne (sono consapevole dell’estrema durezza di ciò che scrivo e me ne assumo la responsabilità) chi gira armato, passa la vita a rapinare Rolex come abbiamo appreso nella scorsa giornata, non esita a sparare per lavare l’onta di una frase detta male alle sue orecchie incivili è solo un essere immondo. Indegno di essere chiamato uomo.
Indegno non di Napoli, ma di qualsiasi luogo che voglia dirsi minimamente civile.
Questi rifiuti sono il prodotto di un’anticultura che i napoletani conoscono benissimo e da troppo tempo. Quel misto fetido di antistato, culto della violenza, apologia del bullo che nasconde la propria nullità dietro la canna di una pistola.
Capisco perfettamente che questa potrà sembrare solo vuota indignazione, rabbia impotente, sorda e magari eccessiva. Che le colpe del sedicenne killer devono accompagnarsi a quelle di chi lo ha “educato“ in questo modo infame.
Solo che un sedicenne come quello, non è un adolescente con cui possiamo avere a che fare tutti noi, è un quasi uomo che ha fatto le sue scelte, ha voluto la pistola ed era pronto a usarla. Perché nel suo mondo non c’è altro, nulla vale altro. Figurarsi lo strazio di una famiglia, di una ragazzina, degli amici di una vittima falciata per nulla. Letteralmente per nulla.
Non si tratta di militarizzare un bel niente, si tratta di punire in modo esemplare. Lo Stato, come scrivevo ieri mattina, non deve mandare i carri armati. Deve “mandare” tribunali che funzionino bene e velocemente, scuole serie e selettive che sappiano far intravedere alle ragazze e ai ragazzi dei gironi infernali un’altra idea di vita e di futuro. Campetti e playground presidiati e gestiti da chi sappia fare dello sport un magnifico volano di bellezza e di vita.
Perché quella che si è scelto l’assassino di Giovanbattista non è vita. È uno schifo.
di Fulvio Giuliani
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