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recensione Barbie

Barbie tra operazione di marketing e grandi verità

È già successo mondiale per il film di Barbie, un stereotipo ricco di cliché certo ma che nasconde delle grandissime verità
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L’iconica bambola nata dall’idea di Ruth Handler a inizio degli anni 60’, nel 2023 scopre il mondo reale. Per Mattel forse un po’ tardi ma necessario. Per Barbie non saprei. Credo sia perché Barbie è e resterà uno stereotipo in quanto nata in un contesto in cui la società ne aveva evidentemente bisogno. Al pari di quello che avviene oggi con “immagini rigide”, di altra natura. Leadership gentile, Gen Z in cerca di maggior benessere e meno carriera, giovani che non hanno voglia di lavorare etc..: non stiamo forse parlando di rigide immagini societarie legate alla nostra epoca? Dobbiamo necessariamente pensarla tutti allo stesso modo? Dobbiamo nutrirci di clichè? No! Possiamo anche osservarli per allontanarci da essi e stravolgerli. Elaborare un nostro punto di vista, partendo da essi. Questo è quello che, in potenza, Barbie è stata in grado di fare. Essere e contrastare sé stessa a pari merito. In una delle scene del film, il board della Mattel capitanato da William Ferrel, cerca di scavalcare un tornello già aperto senza rendersene conto. Il livello di ironia della scena è disarmante ma quel tornello è un esempio di quanto a volte ci si renda la vita complessa anche quando è davvero semplice. Trasmette un senso di storicità e consuetudine che fa parte delle vite di ognuno di noi. Sarebbe miope non raccogliere in quella scena la sintesi di quella vista periferica, caratteristica peculiare della gran parte degli uomini. Ma anche da stolte non pensare a quante volte abbiamo chiesto e chiediamo ad un uomo di aprire un barattolo o prendere un pacco di pasta sul ripiano più alto. Ebbene, Barbie va oltre lo stereotipo esplodendone le peculiarità. Si vuole riappropriare della sua identità, ordinaria, passando dalla mente ingenua dei bambini e provando ad ignorare i “Ken”. Fattibile, ma complesso. Quando giocavo con le Barbie ho pensato di voler essere alta e bionda? Sì e, spoiler, non è accaduto. Ma ho immaginato anche altro. Ho desiderato e ammirato la femminilità pura e spudorata non disconnessa dall’intelligenza (ops…). Il che si è tradotto, per me e molte altre donne, in tante altre cose. Questo significa essere uno stereotipo? Should be. Ma se anche Barbie non ha salvato e non salverà il mondo dal suo essere maledettamente imperfetto, il suo tributo è quello di aver seguito il flusso del cambiamento societario ed economico da tutti i punti di vista. Osannarla o condannarla non ha senso, come non ha senso parlare di “washing” vari, relativi ad opere cinematografiche, artistiche e culturali frutto di un’altra epoca. La storia è tale perché ha il potere di lasciarci un insegnamento. Cancellarla significa cancellare la memoria di quei fatti, ergo di quell’insegnamento. In conclusione: lo sappiamo che pensare ad una Barbie Land oltre ad essere paradossale, e divertente solo per i primi 15’, è fortemente irrealistico. E lo sappiamo quando abbandoniamo il femminismo tout court e ricordiamo della necessità di esistere ed esserci tutti, gli uni per gli altri, in ogni caso. PS: se pensavate che le Birkenstok fossero solo per andare al mare prima di vedere il film, probabilmente vorrete anche voi quelle Arizona rosa cipria abbinate a jeans, t-shirt bianca e blazer. Grazie Barbie! di Martina Fiore

VOTO:

aspetti positivi

Aspetti negativi

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