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Yellow Kid

Il giallo di Yellow Kid

“The Yellow Kid”, il fumetto di Outcault dal colore giallo vivace (prima ancora azzurra o bianca) per far emergere il meglio degli ultimi
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Dapprima la casacca del Yellow Kid non era gialla, come suggerirebbe il nome inglese, ma bianca o azzurrina. Una sorta di vestaglia da notte oversize passata da una sorella maggiore e da cui emergono a fatica i piedi nudi, le piccole mani, il testone calvo del bambino. Non ci sono infatti capelli a ingentilire o nascondere le orecchie paraboliche del personaggio inventato dal fumettista Richard Felton Outcault, perché gli sono stati rasati come rimedio ai pidocchi. Scalzo e misero, ma vivace: siamo nel 1895 e questo è esattamente come il borghese Outcault traduce in una caricatura disegnata i poveri di New York. Una torma di sottoproletari che abita gli slum: le baraccopoli della città, divise fra immigrati poveri e alcolizzati, le cui limitate possibilità materiali (e spesso mentali) sono per le storie una ricca miniera di gag. “The Yellow Kid” non fu però il primo prodotto fumettistico di Outcault, partito da Lancaster in Ohio come disegnatore tecnico per arrivare alla Grande Mela col desiderio di diventare vignettista. Il suo nome si era invece affermato grazie a una striscia ben più corale chiamata “Hogan’s Alley”, che il fumettista pubblicava sul “New York World” di Joseph Pulitzer. Un primo fumetto intento a fornire una panoramica totale di un immaginario slum sito nel fantomatico “vicolo Hogan”, che per sineddoche intendeva rappresentare tutti i bassifondi in cui Outcault si recava per conto del giornale. «Andando in quei quartieri, trovavo spesso molti Yellow Kid» spiegò in seguito il papà del personaggio. «Non era un individuo, ma un tipo. Li vedevo sporgersi fuori dalle porte d’ingresso delle baracche o seduti sui gradini luridi». Un’umanità infantile, spontanea e ruspante che Outcault decise di consacrare in un bambino dolce e solare, secondo la sua stessa definizione, disegnato privo della malizia e di altri difetti che erano spesso messi alla berlina nelle tavole illustrate di “Hogan’s Alley”. Tavole che non erano divise in vignette, come si potrebbe aspettare un lettore odierno di fumetti. Nell’ultima decade del XIX secolo il mercato dei comics era ancora agli albori, ma da secoli i giornali ospitavano vignette ironiche di commento delle varie notizie. Il “New York World” di Pulitzer, nonostante il buon nome del premio eponimo, era un giornale in perenne lotta per l’attenzione del pubblico con quelli dell’impero editoriale del magnate William Randolph Hearst. Alla sfida per il titolo più eclatante si affiancò quindi presto quella per il contenuto grafico più accattivante e fu soltanto una questione di tempo prima che (mancando ancora una diffusione capillare delle tecniche fotografiche) i disegnatori venissero reclutati in questa ‘guerra’. Le vignette di Outcault divennero così pagine intere che rappresentavano ampie scene in cui gli abitanti del “vicolo Hogan” davano il meglio (e il peggio di loro). In questi pandemoni, senza ancora la convenzione comune delle nuvolette per far parlare i personaggi, molti si esprimevano con cartelli mentre Yellow Kid scriveva i suoi pensieri sul suo camicione. Un espediente semplice, ma che lo rese presto il beniamino del pubblico. Fu poi probabilmente una premura di leggibilità e risalto a rendere quindi giallo il vestito, che presto fece ribattezzare i giornali che lo ospitavano come “yellow papers. di Camillo Bosco

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