“Let it Bleed”, l’album della generazione Vietnam
“Let it Bleed” fu colonna sonora di un tempo segnato da passaggi epocali e contradditori: dall’uomo sulla luna, fino al record di soldati americani in Vietnam
Il 29 novembre 1969 usciva – finalmente – “Let it Bleed”, l’attesissimo tredicesimo album in studio dei Rolling Stones. La sua pubblicazione avvenne però prima in quegli Usa che avevano decretato il successo mondiale della band britannica. In Inghilterra sarebbe uscito una settimana dopo, a ridosso del drammatico Festival di Altamont voluto dagli Stones come “Kind of Woodstock West”, cioè come una sorta di risposta ai tre giorni del ferragosto newyorkese di “Pace, amore e musica” disertato da Jagger & C.
Ad Altamont successe di tutto (omicidi compresi) a opera degli Hells Angels, club motociclistico bollato come criminale dal Dipartimento di Stato americano. Un evento che assegnò definitivamente un’immagine demoniaca agli Stones, già sulfureggianti dalla pubblicazione nel 1968 di “Beggars Banquet”. E insomma, mentre i Beatles veleggiavano in dimensioni paradisiache gli Stones facevano messa con Belzebù. Su queste sciocchezze la stampa ci marciava, alimentando una rivalità tutta mediatica. Fatto è che nell’album “Beggars Banquet” era incisa “Simpathy for the Devil”: la canzone non aveva nulla di diabolico ma quell’autocertificazione pronunciata dal diavolo in persona fu sufficiente a fare degli Stones dei novelli demoni dostoevskijani.
Jagger rispose indirettamente proprio con “Let it Bleed”. In “Monkey Man” dice infatti: «Spero non ci consideriate troppo messianici o magari un po’ troppo satanici». Il tempo era però coerentemente luciferino: una settimana prima di Woodstock, Charles Manson e la sua setta satanica avevano fatto strage a Los Angeles: prima nella villa dell’attrice Sharon Tate (moglie di Roman Polanski di cui era incinta di 9 mesi), poi in quella dei coniugi LaBianca. Come era successo dieci anni prima con quel fatto di sangue in Kansas che aveva ispirato a Truman Capote il suo capolavoro “A sangue freddo”.
“Let it Bleed” diventava quindi una sorta di colonna sonora di un tempo segnato da passaggi epocali e contradditori: se solo in luglio l’uomo aveva messo piede sulla Luna, nel corso dell’anno i soldati americani in Vietnam raggiungevano la cifra record di oltre mezzo milione. Una guerra infilata nella prima traccia dell’album: “Gimme Shelter”, un brano sontuosamente terribile, grido disumano di chi vive senza riparo. Un’Apocalisse senza rifugi per una generazione ustionata d’illusioni. Al protagonista di “You Can’t Always Get What You Want” non resta che rassegnarsi. Let it bleed, lascia che sanguini il tuo cuore: «Non puoi avere sempre ciò che vuoi». Un solo spiraglio: «Se ci provi, forse, qualche volta avrai quel che ti serve. Giusto per un po’».
di Pino Casamassima
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