Travolta, quando l’Italia è strapaese
Perché tornare a parlare del “caso John Travolta”? Perché in quei pochi minuti di clamoroso imbarazzo televisivo è come se avessimo visto molto più di una pagina Tv venuta male
Travolta, quando l’Italia è strapaese
Perché tornare a parlare del “caso John Travolta”? Perché in quei pochi minuti di clamoroso imbarazzo televisivo è come se avessimo visto molto più di una pagina Tv venuta male
Travolta, quando l’Italia è strapaese
Perché tornare a parlare del “caso John Travolta”? Perché in quei pochi minuti di clamoroso imbarazzo televisivo è come se avessimo visto molto più di una pagina Tv venuta male
Perché tornare a parlare del “caso John Travolta”? Perché in quei pochi minuti di clamoroso imbarazzo televisivo è come se avessimo visto molto più di una pagina Tv venuta male
Il caso Travolta a Sanremo è stato sviscerato in ogni modo possibile e anche su La Ragione online e cartacea trovate analisi, riflessioni e anche sacrosanta ironia.
Allora perché tornarci? Perché in quei pochi minuti di clamoroso imbarazzo televisivo è come se avessimo visto molto più di una pagina di Tv venuta (molto) male, oltretutto a una manciata di minuti dal grande momento con Giovanni Allevi che ha commosso l’intera Italia.
Posto che la trasmissione è la stessa, il conduttore lo stesso, il palco lo stesso, le condizioni generali sono le medesime, perché Allevi ci ha commosso e John Travolta ci ha fatto vergognare (avrete riconosciuto quella condizione psicologica che si genera quando vediamo qualcuno prestarsi a qualcosa di imbarazzante e soffriamo per lui?! Ecco, quella)?
Perché prima si è fatta televisione con onestà intellettuale e cuore, dopo si è fatta una ciofeca. Il che non significa nulla di sconveniente in sé o, peggio, irregolare. Si può discutere di qualcosa di veramente brutto, senza dare il via alla caccia alle streghe, alle grandi “indagini” su sponsor occulti (l’errore c’è stato con le scarpe di John Travolta, ammesso dalla Rai ed è una svista oggettivamente incomprensibile in uno show di quel livello).
Consideriamo Amadeus una persona squisita, un professionista straordinario e un uomo retto. Sperando di essere stati chiari, il problema è che in Italia talvolta finiamo prigionieri di meccanismi che nel III millennio hanno dell’incredibile: Amadeus non conduce le interviste in inglese e da che mondo è mondo una “one to one” mediata da un traduttore simultaneo non si presta a quello che hanno provato a fare lui e Fiorello con John Travolta.
Non ci sono i tempi, non c’è immediatezza. Non funziona. Quello che puoi fare, con il traduttore, è qualcosa di molto più “serio“. Parlare con l’uomo, la persona e non il personaggio. Non il ballerino. Se poi quest’ultimo lo umili con “il ballo del qua qua“ si è a un passo dal masochismo.
Un errore clamoroso, anche perché accaduto tante volte su quel palco e – nel 2006 – con lo stesso Travolta. Ricorderete il massaggio ai piedi della conduttrice di allora…
Non si tratta solo di non masticare l’inglese, problema antico, si tratta di non aver coraggio di andare oltre lo spartito noto, l’usato sicuro. Avere un uomo come John Travolta è un’occasione straordinaria, considerata la storia e la gigantesca popolarità. Solo che si sceglie lo strapaese, forse esattamente quello che si aspettano (o temono) le star internazionali quando arrivano a Sanremo.
Abbiamo capacità e competenza e se proprio dobbiamo rivolgerci agli americani, allora tiriamo fuori i soldi con uno sponsor e lasciamo il segno. Un’idea: andate a vedervi quello che fece Justin Timberlake all’inizio della serata degli Oscar del 2017. Altro che “ballo del qua qua” e pensare che avevamo John Travolta…
di Fulvio Giuliani
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