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Dazi e daziati

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Usare i dazi per piegare il daziato alle proprie volontà politiche è ciò che non si può fare, perché contro regole che non sono state scritte dai comunisti cinesi ma dai democratici occidentali

Dazi e daziati

Usare i dazi per piegare il daziato alle proprie volontà politiche è ciò che non si può fare, perché contro regole che non sono state scritte dai comunisti cinesi ma dai democratici occidentali

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Dazi e daziati

Usare i dazi per piegare il daziato alle proprie volontà politiche è ciò che non si può fare, perché contro regole che non sono state scritte dai comunisti cinesi ma dai democratici occidentali

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Non è da tutti riuscire a farsi segnalare dalla Cina al Wto (Organizzazione mondiale del commercio) per comportamenti scorretti e di origine dolosa. Il regno degli aiuti di Stato, del dumping sociale e del controllo politico sul mercato economico segnala a una organizzazione multilaterale – nella quale è stato ammesso appena ieri, nel 2001, suscitando non poche polemiche – che gli Stati Uniti starebbero violando le regole del mercato. La cosa non avrà seguito significativo, ma il fatto che sia stata possibile è un segnale che va colto, prima di ritrovarsi un regime comunista a dar lezioni di liberoscambismo.

Non era facile, ma Trump c’è riuscito. Un volenteroso gruppo di presunti realisti prova a spiegare che quella di Trump è soltanto una tattica negoziale e che un negoziatore, per definizione, vuole giungere a un accordo. Solo che lo vuole a suo favore. Quindi non c’è da avere paura che la Groenlandia sia invasa o che i dazi facciano saltare i commerci globali, si tratta soltanto di negoziare. Molto istruttivo, ma c’è un dettaglio: usare i dazi per piegare il daziato alle proprie volontà politiche è ciò che non si può fare, perché contro regole che non sono state scritte dai comunisti cinesi ma dai democratici occidentali. Vero che – partendo dal braccio di ferro presso la bettola, passando alla lotta capitalista e finendo ai confronti militari – è la forza a dominare il gioco, ma violando le regole si rischia una coltellata (in bettola) o che si rivolti la frittata. E la Cina che porta gli Usa davanti al Wto suggerisce di far caso alla frittata volante più che alla padella roteante.

I dazi non soltanto non sono proibiti, ma sono anche sempre esistiti. Ci sono doganieri stolidi (come quello che reclama «un fiorino» da Benigni e Troisi) e ce ne sono di più avvertiti, che hanno scoperto il modo di far pagare altre tasse non ai propri cittadini ma a quelli altrui, che in quel mercato nazionale vanno a vendere le merci prodotte altrove. Doganieri furbacchioni? Neanche troppo, perché in quel modo va a finire che il prezzo di quelle merci cresce (incorporando l’ulteriore carico fiscale) e che a pagarlo sono gli stessi cui si racconta che così pagano meno tasse. Poi c’è la versione doganale della giustizia mercantile: se il tuo Stato ti aiuta a produrre pentole, sovvenzionandoti con la spesa pubblica, il mio Stato ti fa pagare un dazio pari all’indebito vantaggio, così i miei produttori nazionali saranno protetti dalla concorrenza sleale. Bello, ma i miei cittadini non potranno rifarsi l’intero set di pentolame a spese dei contribuenti di un Paese lontano. La cosa ha un senso se la politica dei prezzi bassi serve a sterminare tutti i concorrenti ma se è difficile che questo accada, più che mettere i dazi per proteggere i produttori nazionali si deve mandare qualche politico e qualche sindacalista nel Paese delle sovvenzioni, per ricordare ai contribuenti di colà che da certe dottrine è meglio difendersi.

In generale i dazi – le protezioni che fanno pagare di più l’esportatore e il suo cliente nazionale – servono a poco e consegnano esperienze deludenti: non si creano campioni nazionali ma soggetti rachitici che senza la bombola d’ossigeno pubblico schiattano all’istante. Usarli per negoziare può pure funzionare, ma in quel modo è contro il buon senso prima ancora che contro le regole. Rischiano di produrre un danno non soltanto al mercato statunitense ma al peso politico di quel Paese – il che sarebbe un guaio – e di generare un indebolimento economico non dell’intero mondo ma della sua parte occidentale.

Forse si tratta di stabilire se il regista del film è Sergio Leone – con gli sguardi, il sudore, la lealtà dello scontro mortale – o se si tratta di pellicola d’inferiore caratura, quella in cui il cattivo è guercio e ha la mira di una talpa, la bionda è linda laddove non c’è acqua, il cinesino scappa implorando «Non spalale!» e l’eroe è invincibile, ma anche non credibile. Siamo soltanto ai primi fotogrammi e non coltiviamo pregiudizi, positivi o negativi.

di Davide Giacalone

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