Boris Godunov al Teatro alla Scala
Dopo il successo della Prima del 7 dicembre, proseguono le rappresentazioni del Boris Godunov al Teatro alla Scala di Milano.
Giorni di polemiche, opinioni e proteste hanno anticipato il debutto del Boris Godunov al Teatro alla Scala di Milano. Tuttavia, una volta dato voce all’opera di Musorgskij, ogni questione è stata spazzata via da un successo senza appelli, nonostante la naturale distanza temporale e culturale dell’opera rappresentata che, qualora approcciata senza le dovute premesse, poteva risultare straniante se paragonata alla musica ad essa coeva. La versione scelta dal Maestro Riccardo Chailly è come ormai noto quella del 1869, dalla partitura a tratti a tal punto visionaria da esser stata respinta dalla Commissione dei Teatri imperiali di San Pietroburgo. Ad intrecciarsi nella trama ci sono da una parte la vicenda storica della successione di Ivan il Terribile – nella rilettura fatta da Puškin -, dall’altra la battaglia interiore dello zar Boris Godunov, protagonista dilaniato da un profondo e incontrollato senso di colpa. O a meglio dire del co-protagonista. Perché uno degli elementi distintivi del dramma messo in scena da Musorgskij sta proprio nello spazio dato al popolo russo, posto al centro con tutte le sue contraddizioni e impulsi emotivi, tramite la cui voce l’autore scelse di far emergere i moti interiori alla società russa a lui contemporanea. Non stupisce pertanto lo spazio dato al coro e alla sua psicologia nelle quattro diverse parti dell’opera, tra ampie scene di folla e momenti dal forte trasporto emotivo.
Nella messa in scena del 13 dicembre si riconferma il successo visto durante la Prima di Sant’Ambrogio, privo però del peso emotivo dell’evento e quindi forse persino più partecipato dai protagonisti. L’orchestra, ancora una volta magistralmente condotta dal Maestro Riccardo Chailly, si riconferma semplicemente perfetta, capace nel rendere tutte le sfumature di una partitura sì cupa, ma caratterizzata da un forte ardire armonico e timbrico, dagli incastri ritmicamente complessi. Il nuovo allestimento, firmato nelle scene da Es Devlin, nonostante qualche critica ricevuta, riesce nel creare la giusta ambientazione ad un dramma complesso, che si snoda in diversi luoghi, fisici e mentali. Di particolare impatto la scena della scalata verticale di Grigorij, in direzione Lituania, alla fine della seconda parte. Preminente la figura di Pimen, dal cui racconto per scelta di Es Devlin si snoda la vicenda anche in scena, con al centro del palco l’enorme pergamena bianca su cui scorrono parole e disegni che accostano e al tempo stessso raccontano la trama. La regia di Kasper Holten decide di dare spazio fisico alla tragedia mentale di Boris affiancandolo allo spettro del piccolo Zarevic, con evidenti richiami al Macbeth e agli stilemi shakespeariani. Dal punto di vista del cantato, di altissimo livello in tutti gli interpreti, spiccano da un lato lo spettacolare coro della Scala, capace di travolgere o sussurrare i vari stati d’animo del popolo russo, dall’altro un magistrale Ildar Abdrazakov nelle vesti di Boris Godunov, in quella che è forse la parte più importante scritta per il suo registro vocale: da pelle d’oca tutta l’ultima parte a mezza voce. Unica “nota stonata” rintracciabile nella serata? Il pubblico troppo abbottonato e scarso nel riconoscere un giusto applauso al termine della rappresentazione, forse preso dalla fretta di rincorrere nel gelo della notte milanese un taxi o un ultimo tram. di Federico ArduiniVOTO:
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