Italiani residenti all’estero e Italia assetata di lavoratori stranieri
Quasi 6 milioni sono gli italiani residenti all’estero, oltre un decimo della popolazione. Tanti stanno partendo da zone per nulla in difficoltà economiche. Cosa sta succedendo?
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Quasi 6 milioni sono gli italiani residenti all’estero, oltre un decimo della popolazione. Tanti stanno partendo da zone per nulla in difficoltà economiche. Cosa sta succedendo?
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Quasi 6 milioni sono gli italiani residenti all’estero, oltre un decimo della popolazione. Tanti stanno partendo da zone per nulla in difficoltà economiche. Cosa sta succedendo?
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Quasi 6 milioni sono gli italiani residenti all’estero, oltre un decimo della popolazione. Tanti stanno partendo da zone per nulla in difficoltà economiche. Cosa sta succedendo?
Il 1 gennaio 2023 non abbiamo sfondato per poco la soglia psicologica dei 6 milioni di italiani iscritti all’Aire, l’Anagrafe dei cittadini italiani residenti all’estero. Anche se appena sotto i 6 milioni, parliamo pur sempre di oltre un decimo della popolazione italiana, che ormai non arriva a 60 milioni. Se l’incidenza dei residenti all’estero resta impressionante in alcune specifiche realtà del Sud, frutto di fenomeni dalle radici antichissime, negli ultimi anni si è registrato un vero e proprio boom di trasferimenti da province del Centro-Nord.
Ed eccoci all’innesco della nostra riflessione: parliamo di alcune delle aree più benestanti e sviluppate del Paese e dell’intera Europa come Mantova, Rovigo, Lodi, Cremona, Brescia, Reggio Emilia, Prato. Sfidiamo chiunque a considerare le province elencate depresse o economicamente sottosviluppate.
Cosa sta accadendo? Per capirlo è necessario aggiungere un elemento fondamentale: l’identikit di chi parte. Perlopiù, si tratta di giovani ad alta scolarizzazione, formazione, specializzazione e single. Non risulterà difficile unire i puntini, a meno che non si voglia urlare indistintamente – come anche buona parte dei media continuano ostinatamente a fare – alla “fuga”. Immagine mediaticamente molto efficace e utile ai dibattiti in salsa populista, ma fuorviante. Perché insinua l’idea di un Paese vagamente straccione o comunque avviato a una nuova forma di povertà diffusa, da cui – appunto – fuggire. Quello, per capirci, che alimentò i giganteschi flussi migratori dall’Italia del Sud, ma anche da regioni settentrionali come il Veneto.
Quando si affollavano le miniere belghe o si tentava la fortuna oltreoceano o nella remota Australia perché qui c’era la fame più nera. Partivano intere famiglie, secondo uno schema che dovremmo far studiare nelle scuole, per evitare le frequenti stupidaggini dei giorni nostri: mamma e papà accettavano una vita di sacrifici estremi e nella condizione di paria della società per permettere ai figli di studiare, lavorare e magari diventare ricchi.
Oggi quei ragazzi e quelle ragazze – quasi sempre single, professionisti o neolaureati – che scelgono di sfruttare opportunità all’estero cercano ciò che il nostro Paese ha scelto di evitare come la peste: un mercato del lavoro che funzioni e che sappia premiare il merito, la preparazione, la fantasia e la capacità di adattamento. Da tempo la molla non è più la “fame”, che resta ottima per animare i parolai populisti da talkshow (prova ne sia che il trend di partenze dal Sud è in calo, con un ritorno piuttosto all’emigrazione interna). A spingere all’estero sono le opportunità che abbiamo deciso di negare ai migliori per inseguire un finto egualitarismo.
L’effetto è che per giorni fanno notizia sfoghi pittoreschi e che meriterebbero almeno di essere approfonditi, come quello dell’ingegnere civile che si dichiara stufa di essere sottopagata (secondo tutte le statistiche, la professione che garantisce un inserimento nel mondo del lavoro più rapido e con buone retribuzioni; nessuna voglia di porsi domande scomode?), mentre converrebbe chiedere i perché a chi ha scelto di andare all’estero. Magari ricordando che l’Unione europea per i nostri ragazzi è casa.
Nel mentre, il governo (di centrodestra) alza a oltre 82mila il fabbisogno di lavoratori stranieri extracomunitari che possono venire a lavorare in Italia. Nel “Decreto flussi” 2022 erano 67mila, ma sappiamo che ce ne serviranno come minimo 170mila. Occuperanno sempre più lavori dalle qualifiche medio basse, quelli che non vogliamo più fare. Siamo ancora in tempo per evitare un futuro con una spietata concorrenza al ribasso fra italiani e stranieri nei lavori “umili” e i più bravi che non vedono l’ora di andarsene. Bell’affare.
Di Fulvio Giuliani
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