Cina, la guerra e la nuova Altasia
L’Altasia si estende da Hokkaido fino all’India nord-occidentale: le nuove strategie commerciali nearshoring della Cina
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L’Altasia si estende da Hokkaido fino all’India nord-occidentale: le nuove strategie commerciali nearshoring della Cina
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L’Altasia si estende da Hokkaido fino all’India nord-occidentale: le nuove strategie commerciali nearshoring della Cina
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L’Altasia si estende da Hokkaido fino all’India nord-occidentale: le nuove strategie commerciali nearshoring della Cina
Con la sua mediazione fra Russia e Ucraina, la Cina prova ad accreditarsi come punto di riferimento di un nuovo mondo multipolare di cui sarebbe lei la protagonista. Una chiave che forse sfugge è che Pechino sta cercando di capitalizzare al massimo la situazione proprio in un momento in cui sconta diverse difficoltà: la fallimentare strategia “zero Covid” ha azzoppato una crescita economica che sembrava inarrestabile; si registra un crescente problema di invecchiamento della popolazione, con il sorpasso dell’India (previsto ad aprile) come Paese più popoloso del mondo; le imprese che nei decenni passati avevano delocalizzato in massa sul suo territorio se ne stanno andando in modo altrettanto consistente.
Su versanti diversi, sia “The Economist” che la “Bbc” hanno appena dedicato ampi servizi a quest’ultima evoluzione. In particolare, il settimanale lancia il nuovo termine di Altasia: «Si estende a forma di mezzaluna da Hokkaido nel Nord del Giappone, attraverso Corea del Sud, Taiwan, Filippine, Indonesia, Singapore, Malaysia, Thailandia, Vietnam, Cambogia e Bangladesh, fino al Gujarat nell’India nord-occidentale. I suoi membri hanno punti di forza distinti, dalle alte qualifiche del Giappone ai bassi salari dell’India. Sulla carta, è un’opportunità per un’utile divisione del lavoro: alcuni Paesi realizzano componenti sofisticati e altri li assemblano in dispositivi finiti. Che funzioni in pratica è un grande banco di prova per il nascente ordine geopolitico». Una filiera asiatica alternativa che «sembra avere lo stesso peso della Cina, se non di più».
La popolazione in età lavorativa di questa Altasia è di 1,4 miliardi rispetto ai 980 milioni cinesi e le persone tra i 25 e i 54 anni con un’istruzione superiore sono 154 milioni rispetto ai 145 milioni della Cina. In molte sue parti i salari sono considerevolmente inferiori a quelli della Cina: i salari orari di produzione in India, Malaysia, Filippine, Thailandia e Vietnam sono inferiori a 3 dollari, circa un terzo di quanto ora chiedono i lavoratori cinesi. Da settembre 2021 a settembre 2022 i suoi membri hanno venduto agli Stati Uniti beni per un valore di 634 miliardi di dollari, superando i 614 miliardi della Cina. “The Economist” ricorda anche una serie di accordi commerciali che la integrano: dalla Regional Comprehensive Economic Partnership (in cui stanno tutti tranne India, Bangladesh e Taiwan) all’Indo-Pacific Economic Framework e al Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (dove Brunei, Giappone, Malaysia e Vietnam stanno assieme a Canada, Messico e diversi Paesi sudamericani).
La “Bbc” parla invece di nearshoring: «Se decenni fa la tendenza era offshoring (portare le fabbriche in Cina per produrre a un prezzo inferiore), ora è quella di tornare ad aree geografiche più vicine». In questo caso, le aziende globali – in particolare quelle asiatiche – hanno cercato una porta d’ingresso migliore per il mercato più grande del mondo, quello degli Stati Uniti. E la chiave di quella porta è detenuta dal Messico, dove molte imprese stanno aggiungendo nuove linee di produzione per diversificarsi dall’Asia. Solo nell’ultimo anno è iniziata nel Paese la costruzione di 47 nuovi parchi industriali. Nel 2022 gli investimenti diretti esteri sono aumentati del 12% e il nearshoring ha generato circa 30 miliardi di dollari di entrate.
Di Maurizio Stefanini
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