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testimonianza dall'ucraina

In esclusiva dall’Ucraina la testimonianza di Irena

Irena, una ragazza di Mariupol, ci racconta l’orrore della guerra e resta allibita di fronte ai risultati raggiunti dalla disinformazione russa nel tessuto mediatico occidentale
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In esclusiva dall’Ucraina la testimonianza di Irena

Irena, una ragazza di Mariupol, ci racconta l’orrore della guerra e resta allibita di fronte ai risultati raggiunti dalla disinformazione russa nel tessuto mediatico occidentale
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In esclusiva dall’Ucraina la testimonianza di Irena

Irena, una ragazza di Mariupol, ci racconta l’orrore della guerra e resta allibita di fronte ai risultati raggiunti dalla disinformazione russa nel tessuto mediatico occidentale
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Irena, una ragazza di Mariupol, ci racconta l’orrore della guerra e resta allibita di fronte ai risultati raggiunti dalla disinformazione russa nel tessuto mediatico occidentale
L’intervista rilasciata in esclusiva da Irena a “La Ragione” costituisce una testimonianza di straordinaria importanza perché documenta i crimini perpetrati dalla Federazione Russa nel corso dell’invasione dell’Ucraina, restituendo centralità ad avvenimenti storici troppo spesso inquinati e distorti dalla dilagante dezinformacija russa. Irena è nata e ha vissuto a Mariupol, città ucraina da sempre moderna, vivace e ricca. Testimone diretta di quegli eventi, ci parla della prima invasione russa della città nel 2014 e della seguente liberazione avvenuta grazie all’intervento risolutivo del Battaglione Azov e della Sbu. La ragazza è allibita nell’apprendere che la disinformazione russa sia riuscita a penetrare a tal punto nel tessuto mediatico occidentale da trasformare in guerra civile quella che è stata invece una vera e propria invasione. Descrive poi le prime ore drammatiche del 24 febbraio 2022, quando interi palazzi sono stati demoliti da più missili, che non hanno risparmiato neppure ospedali pediatrici e oncologici. Tagliati completamente fuori dal mondo (senza linee telefoniche, acqua, gas ed elettricità), anche quanti avevano trovato riparo negli scantinati difficilmente riuscivano a sopravvivere. Irena non si capacita che qualcuno possa negare l’esistenza dei cosiddetti “campi di filtrazione” in cui venivano requisiti documenti e telefoni alla ricerca di fotografie o contatti in qualche modo collegati alla Zsu e al Reggimento Azov o semplicemente simboli patriottici come il Trizyb. Lei stessa vi è dovuta passare e testimonia come i civili venissero spogliati e schedati con fotografie segnaletiche e impronte digitali a mano piena. Per finire nelle camere della tortura erano sufficienti un tatuaggio o un segno ritenuto sospetto. LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI “CRONACHE DI GUERRA” Riuscita a fuggire proprio nel giorno in cui il Teatro di Mariupol fu centrato in pieno da un missile lanciato da un aereo russo nonostante la scritta “ДЕТИ” (Bambini) antistante la struttura, Irena ci racconta d’aver accolto nel suo centro l’unico bambino sopravvissuto a quel massacro e che in quell’occasione è rimasto orfano di tutta la famiglia. Visibilmente commossa, riporta le testimonianze di altre persone che hanno vissuto il dramma delle deportazioni: «La città era divisa in due: da un lato i superstiti cercavano di fuggire disperatamente verso il resto dell’Ucraina a bordo delle loro auto (che spesso venivano colpite dall’artiglieria russa), dall’altro c’erano autobus diretti verso la Russia». Alla domanda diretta su chi stesse bombardando Mariupol in quel momento, risponde «I russi» ed è alquanto stupita nell’apprendere che qualcuno in Italia possa anche solo immaginare che ucraini possano bombardare altri ucraini. «In cielo volava soltanto l’aviazione russa e questa sganciava continuamente bombe contro palazzi, ospedali, asili, scuole, obiettivi civili. Su questo non c’è e non deve esserci alcun dubbio». Nel centro “Я Марюполь” (creato su iniziativa del sindaco di Mariupol, con il sostegno della gente) in cui Irena presta servizio viene fornito supporto psicologico a chi ha vissuto quell’orrore e ne porterà i segni per tutta la vita. A chi si trova ancora lì lei dice: «Aspettateci. Presto saremo da voi». Di Giorgio Provinciali

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