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E Napoli è

“La felicità fugace”, parola di Luciano Spalletti, allenatore del Napoli campione d’Italia. Una riflessione che si aggiunge al duro lavoro
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“La felicità fugace”, parola di Luciano Spalletti, allenatore del Napoli campione d’Italia. Una riflessione che si aggiunge al duro lavoro
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“La felicità fugace”, parola di Luciano Spalletti, allenatore del Napoli campione d’Italia. Una riflessione che si aggiunge al duro lavoro
«La felicità è fugace». Parola di Luciano Spalletti, allenatore del Napoli campione d’Italia. È un concetto che torna spesso nei racconti dei grandi dello sport: più o meno quello che, molti anni dopo il trionfo di Madrid, Paolo Rossi affidò a un suo libro autobiografico. Sono le parole – le più belle e significative – che il mister azzurro ha scelto per celebrare a suo modo un traguardo storico. Ha parlato della gioia della città, dei suoi giocatori, della società, dello staff e sua personale, certo, ma è approdato lì: a una consapevolezza vagamente malinconica, propria di chi non smette di pensare e riflettere anche nel momento più bello. Mentre intorno a lui tutto sembrava impazzire e non era ‘solo’ una città a riversarsi in strada. Perché i figli di quell’eterna diaspora che si chiama Napoli hanno festeggiato ovunque si trovassero: da Milano a New York, passando per Udine, palcoscenico casuale di una serata da consegnare alla memoria collettiva. A quella riflessione sulla fugacità della gioia, peraltro, Luciano Spalletti è arrivato ricordando un’altra ‘verità’ che converrebbe non dimenticare: per chi lavora e lavora sul serio, la vittoria resta pur sempre l’anticamera della prossima da costruire. Non c’è tempo da perdere, se si vuole continuare a vincere. A costo di sperimentare la fugacità. Lavoro, abnegazione e programmazione: concetti che non siamo abituati a collegare all’oleografia di Napoli, terra di principi del foro e del teatro, ma non – nell’immaginario collettivo, s’intende – della managerialità. Improvvisatori sublimi, inventori quotidiani della vita, non proprio famosi al mondo per essere fini programmatori. Il terzo scudetto del Napoli è invece esattamente il trionfo della serietà, del lavoro certosino, del singolo sacrificato all’interesse del collettivo. L’antitesi dell’individualismo, che in questa città unica e complessa sfocia non di rado in forme di anarchia disordinata. Non lo scriviamo per sentito dire, a Napoli siamo nati e vissuti, sperimentandone l’impressionante carica vitale e la disturbante confusione. Della Napoli di sempre, di quella sublime come di quella ladra di futuro, in questo titolo di campioni d’Italia non c’è quasi nulla. Uno scudetto di stupefacente normalità, schiacciante nella sua logica. La stessa esplosione di festeggiamenti e la gioia irrefrenabile sono state programmate fin nei minimi dettagli, contravvenendo ancora una volta a tutte le abitudini cittadine. Gli episodi di violenza ai margini della grande festa – a cominciare dall’agguato di camorra costato la vita a un ventiseienne – ricordano cosa sia Napoli quando non riesce a liberarsi della perenne dannazione alla convivenza forzata fra la più abbagliante bellezza e le brutture più sconfortanti. Eppure tutto questo con il Napoli, il Napoli di oggi, non c’entra. Un unicum in un mare d’azzurro, un modello non per inesistenti riscatti sociali – secondo letture che abbondarono ai tempi degli scudetti maradoniani – ma di puro sviluppo. Il Napoli, nella Napoli di questi anni, è un asset turistico ed economico, un motore emotivo che si viene a visitare e conoscere. Un fenomeno senza eguali nel suo genere, non solo pallonaro. Non sapremmo dirvi in queste ore, mentre proseguono le feste, se alcuni dei grandi protagonisti dello scudetto resteranno con il presidente De Laurentiis o meno: il fenomenale direttore Giuntoli, l’uomo simbolo Osimhen e lo stesso Spalletti sono corteggiatissimi o potrebbero legittimamente scegliere di non arrischiare la complicatissima stagione della conferma. A dirla tutta, riuscire a trattenerli tutti sarebbe un capolavoro di “Adl”. Vada come vada, il Napoli ha tutto per essere e restare, a patto che confermi sé stesso: un magnifico modo di reinterpretare la napoletanità e rendere orgoglioso un popolo ovunque si trovi a vivere d’azzurro. Di Fulvio Giuliani

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