Periferie, accendere la luce del centro
I centri delle città luccicano di bellezza a favore di turisti e residenti che le attraversano. Poco più in là, nelle periferie la situazione è ben diversa
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Periferie, accendere la luce del centro
I centri delle città luccicano di bellezza a favore di turisti e residenti che le attraversano. Poco più in là, nelle periferie la situazione è ben diversa
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Periferie, accendere la luce del centro
I centri delle città luccicano di bellezza a favore di turisti e residenti che le attraversano. Poco più in là, nelle periferie la situazione è ben diversa
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I centri delle città luccicano di bellezza a favore di turisti e residenti che le attraversano. Poco più in là, nelle periferie la situazione è ben diversa
Piazza Duomo a Milano, Piazza di Spagna a Roma, Piazza Castello a Torino, Piazza Plebiscito a Napoli, Piazza Politeama a Palermo luccicano di bellezza a favore di turisti e residenti che le attraversano, fra vetrine ammalianti sotto il controllo vigile di telecamere e polizia. Nulla di tutto questo a qualche chilometro di distanza dove, sotto le insegne dello stesso Comune, si consumano crimini di vario genere e natura col favore dell’oblio delle municipalità: ultimamente i più seguiti dalla cronaca sono quelli ai danni di donne, ragazze e perfino bambine, come accaduto a Caivano. «Qui non è mai cambiato nulla» lamentava a Tor Bella Monaca un signore avanti negli anni che aggiungeva come fosse «diventato vecchio» non vedendo mai nulla di diverso dal degrado di sempre.
Se con “L’Idiota” Dostoevskij aveva assegnato alla bellezza il compito di salvare il mondo, quelle periferie precipitano invece non solo sé stesse ma tutta la società in una estetica orribile. Un’estetica che produce un’etica altrettanto rivoltante. Quanto mai attuale appare la denuncia di Ettore Scola col suo “Brutti, sporchi e cattivi” che coniuga il degrado della periferia urbana con quello della periferia umana. In “Come Dio comanda” Niccolò Ammaniti rappresenta una periferia in cui tutto è possibile proprio perché c’è coerenza nei frutti di una società lasciata a sé stessa, in cui le disparità producono mostri. È un grido che sale dalle periferie quello di “My city of ruins” di Bruce Springsteen. Brano dell’album “The Rising”, uscito dopo l’attentato di Al-Qaeda dell’11 settembre 2001 ma scritto anni prima. Testi che trasudano tutta la rabbia, l’amarezza, il dolore non solo di realtà del New Jersey, ma di tutti gli agglomerati urbani di un Occidente tanto ricco quanto segnato da contraddizioni che invece di essere risolte vengono ingigantite, anno dopo anno.
È importante illuminare – nel vero senso della parola – le periferie, perché la luce è vita. È identificazione dei contorni, a ogni livello. La luce è una delle componenti essenziali, primarie, per favorire la civiltà: una luce vera, ‘fisica’, capace di sconfiggere l’ombra, cioè quella condizione che produce il male. Il Carmine di Brescia, Bari vecchia, via Pré a Genova hanno visto nuova luce – in tutti i sensi – nel momento in cui sono usciti da quelle ombre che favorivano situazioni assai pericolose per chi vi si trovasse a passare in certe ore. A San Paolo del Brasile sono personalmente passato dallo sfavillio delle avenida con i marchi mondiali più prestigiosi (in primis quelli delle griffe italiane) all’inferno delle strade laterali che – contrariamente alle favelas di Rio, che concentrano il degrado in un solo punto – lì lo spalmano per tutta la città, con il pericolo che aumenta progressivamente allo scemare della luce del sole.
di Pino Casamassima
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