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Maternità e lavoro

Maternità è opportunità

Soltanto nel 2022 oltre 44mila mamme hanno lasciato il lavoro. Serve creare percorsi che seguano le donne nelle diverse tappe della maternità
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Maternità è opportunità

Soltanto nel 2022 oltre 44mila mamme hanno lasciato il lavoro. Serve creare percorsi che seguano le donne nelle diverse tappe della maternità
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Maternità è opportunità

Soltanto nel 2022 oltre 44mila mamme hanno lasciato il lavoro. Serve creare percorsi che seguano le donne nelle diverse tappe della maternità
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Soltanto nel 2022 oltre 44mila mamme hanno lasciato il lavoro. Serve creare percorsi che seguano le donne nelle diverse tappe della maternità
I dati diffusi in questi giorni sulle dimissioni dal lavoro delle donne nei primi tre anni di vita di un figlio sono sconcertanti. Soltanto nel 2022 oltre 44mila mamme hanno lasciato il lavoro, un dato in aumento di oltre il 17% rispetto al 2021. E nel 63% dei casi la motivazione è stata la difficile (quando non impossibile) conciliazione fra lavoro e cura dei figli. È evidente che questo sia un tema enorme che tocca tanti ambiti della nostra società: dall’assoluta insufficienza dei servizi (asili nido, luoghi di aggregazione e sportivi, tempo pieno nelle scuole e via dicendo) alla cultura ancora predominante in molte aziende, principalmente piccole e medie imprese. Soffermiamoci però su uno degli aspetti chiave, a volte lasciato un po’ a margine: il ruolo e la responsabilità dei datori di lavoro e delle strutture manageriali. È indubbio che senza servizi da parte dello Stato si possa fare soltanto una parte. Ma si può incidere eccome. Partendo da un concetto mai troppo abusato, quello della correttezza. L’azienda deve creare le migliori condizioni per le donne che decidono di avere un figlio: prima, durante e dopo la maternità. È importante che si crei un ambiente positivo, in cui diventare madri non sia visto come un ostacolo e dove non si alimentino comportamenti scorretti e tossici nei confronti delle neo mamme.
 
È fondamentale creare dei percorsi che indirizzino e seguano le donne passo passo nelle diverse tappe della maternità. Qui non parliamo di soldi ma di un ambiente pronto all’ascolto, in cui il momento dell’annuncio della gravidanza non sia fonte di ansia e angoscia per la futura mamma, che spesso non sa come dirlo, a chi dirlo e quando dirlo, temendo ritorsioni e non sapendo quali reazioni attendersi. Vanno gestiti i mesi prima del parto coinvolgendo la lavoratrice in tutti gli aspetti della sostituzione per maternità, non lasciandola isolata. Una volta nato il bambino, la donna deve sempre avere la possibilità di scegliere se e come essere informata sull’andamento dell’attività lavorativa. Può decidere di dedicarsi totalmente al nuovo nato senza essere disturbata in quei mesi così delicati oppure, se lo desidera, può e deve essere messa al corrente delle novità e dei progetti in corso. È una sua scelta che l’azienda deve rispettare e sostenere. Nessuno si deve permettere di utilizzare i mesi di assenza per ripicche o demansionamenti, per mettere ai margini chi non c’è. Chi lo fa – e purtroppo in azienda capita più spesso di quello che si pensi – deve essere stigmatizzato e sanzionato. Al rientro è importante che la struttura sia pronta a sostenerla, ad aiutarla a mettersi in pari, a supportarla nelle nuove esigenze con orari e attività che le consentano il più possibile di conciliare le esigenze della sua nuova vita. Sembrano aspetti di buon senso, invece – fra dimissioni fatte firmare in bianco, mobbing strisciante o conclamato, fastidio palese per chi non può più dedicarsi al 100% al lavoro – spesso la maternità diventa un incubo.
 
Come non citare a questo punto le lavoratrici autonome, di fatto senza alcuna tutela e attenzione neppure lontanamente paragonabili a quelle delle lavoratrici dipendenti? Spinte dalla necessità di lavorare fino all’ultimissimo istante possibile, costrette a un percorso a ostacoli che diventano sempre più alti fino a rendere impossibile qualunque altra soluzione che non sia smettere di lavorare. Un danno immenso non soltanto per le donne ma anche per le aziende e la società che – per incapacità, malafede o miopia – si privano di risorse che rispetto a prima potrebbero in realtà dare molto di più, con nuove caratteristiche e competenze che nascono spesso insieme alla mamma: empatia, organizzazione e capacità di mediare, comprendere, essere efficaci. Un patrimonio che viene sprecato, relegato in un angolo. Annullato.
Di Federica Marotti

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