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Bimbo Hobby costoso

Bimbo e il suo “Hobby Costoso”

“Hobby costoso”, il nuovo album di Bimbo anticipato dal singolo “Preferisco morire”. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui

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Bimbo e il suo “Hobby Costoso”

“Hobby costoso”, il nuovo album di Bimbo anticipato dal singolo “Preferisco morire”. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui

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Bimbo e il suo “Hobby Costoso”

“Hobby costoso”, il nuovo album di Bimbo anticipato dal singolo “Preferisco morire”. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui

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“Hobby costoso”, il nuovo album di Bimbo anticipato dal singolo “Preferisco morire”. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui

Nel mare magnum della musica liquida, sembrerebbe facile trovare qualcosa di nuovo e interessante da ascoltare. Invece, non è proprio così. Ogni tanto ci divertiamo a scavare in questo universo in continua espansione per trovare artisti di valore che meritano un ascolto attento. Poi starà all’ascoltatore scegliere se seguire l’artista in questione o veleggiare verso altri lidi.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Bimbo, nome d’arte di Simone Soldani, livornese classe 1976. Dopo aver suonato per anni sui palchi dei centri sociali, ha partecipato al Festival di Cannes con la colonna sonora di “B.B. e il cormorano”. Con un’indole pop e una passione per il cantautorato, la sua curiosità sperimentale lo ha portato a unire mondi diversi nel suo nuovo album, che attinge da sonorità afro-elettroniche. Il risultato è un’opera che unisce suggestioni che vanno da Loredana Berté a Mulatu Astatke, frutto di due anni di lavoro. Il disco si intitola “Hobby Costoso” ed è stato il fulcro della nostra chiacchierata.

Raccontaci com’è nato “Hobby costoso”

“Hobby Costoso” è fondamentalmente una critica alla condizione attuale degli artisti e di coloro che svolgono determinati mestieri nel nostro Paese, che offre loro poco sostegno sia a livello economico sia a livello organizzativo. Spesso ci ritroviamo un po’ abbandonati a noi stessi. Era anche una provocazione: molti considerano il nostro lavoro come un hobby. Un hobby, cavolo, costoso. Credo che ci sia anche un po’ di vergogna da parte degli artisti, che spesso si lamentano, ma poi, quando c’è bisogno di farlo presente, si nascondono per paura di sminuire o minimizzare il proprio lavoro. Secondo me, non c’è proprio niente di cui vergognarsi nel rendere palese il fatto che non sia il nostro primo introito.

Chissà quante volte ti sarà capitato di sentirti dire la classica frase, quando dicevi di fare il musicista: “Sì ok, ma di lavoro che fai?”

Devo essere sincero: in Italia non è considerato un lavoro vero e proprio, ma non per mancanza di rispetto verso l’arte. Secondo me, è più una questione economica; il mondo della musica non riconosce veramente nessuno perché nessuno ha mai assunto la responsabilità di aprire una partita IVA. È un intero ecosistema ignorato, più per questioni fiscali che per la credibilità stessa dell’arte, di cui tutti abbiamo bisogno. Questo non è un problema solo italiano; me ne sono reso conto anche fuori dall’Italia. Ho curato le colonne sonore per un documentario su Elio Preti e, quando sono stato a New York, un altro musicista mi ha chiesto che lavoro facessi. Pensavo di poter vantare di essere un musicista, ma ho detto la verità: faccio il fonico e mi occupo di liuteria, come faccio ancora oggi. Mi ha fatto quella domanda perché essere artisti riconosciuti è un’altra cosa. A Emma Marrone, per fare un esempio, non verrebbe mai chiesto…

In effetti oggi più che in altra epoche è difficile poter dire di vivere di musica

Ho attraversato un percorso in cui a tratti ho vissuto anche di musica. A volte mi sorprende sentire dei ragazzi che dicono “faccio il musicista”, o persone della mia età che lo affermano. In che senso? Non voglio criticare, ma insomma…

Magari sono persone che “possono permettersi” di avere un lavoro che non frutta come tale…

Più che altro, è evidente che l’arte abbia preso questa piega ed è per lo più in mano a persone che, economicamente, possono permetterselo. Anche per questo, secondo me, l’esigenza di raccontare alcune cose spesso viene a mancare. È quasi un privilegio poter dedicarsi esclusivamente alla musica e, chiaramente, ciò che viene detto e il risultato finale dell’espressione artistica provengono per lo più da quella prospettiva, da quella angolazione.

Forse è vero che viviamo in un’epoca in cui non si può più esprimere liberamente la propria opinione perché si rischia di essere attaccati e sminuiti. Tuttavia, è anche vero che chi ha la possibilità di esprimersi lo fa da una posizione economica ben precisa.

Spesso noto come nel mio ambiente la maggior parte delle persone mal sopporti la trap, ma secondo me è l’unico genere che, in alcuni casi, è ancora puro. È un genere che dice davvero alcune cose, che le mette in luce. Nel cantautorato non accade più, purtroppo. La trap è quasi il nuovo punk.

La trap dalla sua ha anche la forza di aver saputo fare rete. Non pensi che questa capacità un po’ manchi ad altri generi?

Assolutamente sì. Come ti dicevo prima, il punk e il rock, specialmente negli anni ’90, erano sostenuti da una rete fittissima. Ho vissuto quell’epoca con un gruppo che avevo agli inizi della mia carriera: giravamo nei centri sociali in tutta Italia. Si stava in piedi grazie a questa rete fittissima di contatti che creava una scena musicale. Il punk è una scena, l’hip hop è una scena. Purtroppo, il cantautorato non è più una scena.

Tornando al disco, come ci hai lavorato?

Sono tutte tematiche che ho cercato di affrontare nel tempo minimo di 3/4 minuti. È nato più dalle tematiche, non legate al suono, e mi sono accorto che potevano stare insieme. A quel punto, ho deciso di costruire un vestito sonoro che le tenesse unite. Ho scelto suoni più afro-elettronici, ma con la citazione di una tecnologia un po’ obsoleta, quella degli anni ’80. A me piace moltissimo quel periodo; con i suoni della Berté ci sembrava di andare sulla luna. Quindi sì, è nato attraverso i testi e poi ho provato a dargli un’ambientazione sonora.

Ci racconti qualcosa del più del singolo “Preferisco morire”?

Ho cercato di colpire un unico obiettivo con due temi: il cambiamento climatico e l’inquinamento, insieme a una critica ai media. Un pomeriggio stavo guardando una trasmissione che parlava della fine del mondo a causa del cambiamento climatico, con tanto di ricostruzione 3D. In quel momento mi sono detto: “Ma ci rendiamo conto che un tema così importante finisce per essere solo spettacolarizzato?” Mi sono detto che avrei preferito morire piuttosto che continuare a vedere quella trasmissione. È chiaramente una provocazione, una reazione forte, da ritornello.

Cosa pensi sia cambiato di più nel tuo modo di scrivere rispetto a quando hai iniziato?

Penso che sia cambiata la sicurezza con cui esprimo le mie idee. Prima venivo spesso frainteso e vivevo queste situazioni con sensi di colpa. Adesso mi sento molto più libero, perché mi sono reso conto che chi vuol capire capisce. Nei miei testi non ci sono troppi fraintendimenti. Scrivo in maniera più libera, senza preoccuparmi troppo se verrò compreso o no.

di Federico Arduini

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