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Israele

Israele e la tregua impossibile

Il fallimento nel salvataggio di questi ultimi sei ostaggi ha creato un’ondata di sdegno contro lo stesso governo di Israele

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Israele e la tregua impossibile

Il fallimento nel salvataggio di questi ultimi sei ostaggi ha creato un’ondata di sdegno contro lo stesso governo di Israele

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Il fallimento nel salvataggio di questi ultimi sei ostaggi ha creato un’ondata di sdegno contro lo stesso governo di Israele

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Il fallimento nel salvataggio di questi ultimi sei ostaggi ha creato un’ondata di sdegno contro lo stesso governo di Israele

In queste settimane i terroristi di Hamas sono diventati più bravi a reagire ai tentativi israeliani. Una prontezza pagata dai sei ostaggi trovati morti in uno dei famigerati cunicoli, scavati coi soldi della comunità internazionale dal regime militare che governa la Striscia di Gaza. Cinque di loro, tra i 23 e i 33 anni, erano stati catturati dai suprematisti palestinesi (addirittura volati lì con dei paramotori) mentre partecipavano all’innocuo festival musicale Nova: Hersh Goldberg-Polin era un israelo-statunitense, Eden Yerushalmi una barista, Alexander Lobanov lascia una moglie e due figli (il secondo partorito durante la sua prigionia), Ori Danino fu preso mentre aiutava altri a fuggire. Almog Sarusi avrebbe forse potuto evitare la cattura, ma rimase al fianco della sua fidanzata ferita a morte sul suolo del festival. A questi cinque si è unito il corpo di Carmel Gat, rapita dal kibbutz Be’eri il 7 ottobre dell’anno scorso. Nel tempo aveva aiutato molti ostaggi insegnando loro tecniche yoga e di meditazione per evadere dallo stress soverchiante della loro disperata situazione, donando loro un qualche sollievo. Molti dei salvati l’avrebbero abbracciata con gioia una volta liberata, ma non sarà più possibile.

Le autopsie hanno confermato che i miliziani li hanno crivellati di proiettili sapendo dell’arrivo degli israeliani, impegnati in combattimenti sia sul terreno sia nel sottosuolo di Rafah. Una città già demolita per metà dalle operazioni israeliane volte sia alla messa in sicurezza del Corridoio Filadelfia – una striscia di 2 chilometri di ampiezza che isola i gazei dall’Egitto – sia alla distruzione dei residui battaglioni di Hamas ancora operativi. Dei quattro inquadrati nella Brigata Rafah, Tsáhal (l’armata di difesa d’Israele) ha dichiarato di averne già distrutti due, ma Yahya Sinwar ha dimostrato di saper rigenerare le sue forze molto velocemente. Così, complice anche la pressione statunitense che ha obbligato Gerusalemme a diminuire di molto l’intensità delle operazioni nella Striscia di Gaza (segnate comunque da un tasso inaccettabile di vittime civili), nei cittadini israeliani si è cementata l’impressione che le azioni del primo ministro Benjamin Netanyahu siano votate all’inconcludenza.

Il fallimento nel salvataggio di questi ultimi sei rapiti, benché causato dai metodi disumani del regime militare che governa la Striscia, ha dunque creato un’ondata di sdegno degli israeliani contro il loro stesso governo. A centinaia di migliaia – alcune stime parlano di addirittura di mezzo milione – si sono riversati ieri per le strade delle città principali, proclamando lo sciopero generale per ottenere la liberazione degli ostaggi (quindi la concessione di un cessate il fuoco) oppure le dimissioni del governo. Una prova di vitalità molto forte per la democrazia israeliana, appannata dai continui compromessi coi coloni e nell’ambito di una guerra che coinvolge le sue forze sui fronti meridionale e settentrionale.

Si sono levate subito le voci che danno il governo per spacciato, ma Netanyahu finora si è dimostrato un politico coriaceo capace di esprimere una sorta di propria indispensabilità. Inoltre il problema è che chiunque lo sostituisse si troverebbe di fronte a una impasse identica: Sinwar, rimasto unico dittatore dei gazei, accetterà soltanto un cessate il fuoco permanente volto a riportare la Striscia allo status antecedente il 7 ottobre. Una soluzione inaccettabile che obbliga la guerra per Gaza a proseguire fino alla liberazione di tutti gli ostaggi manu militari o all’eliminazione dello stesso Sinwar.

di Camillo Bosco

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