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Napoli New York

Napoli-New York, il nuovo film di Gabriele Salvatores

Un viaggio oceanico, fra le onde del neorealismo e del surrealismo. È uscito “Napoli-New York”, il nuovo film di Gabriele Salvatores. Una trama che a sua volta ha una storia

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Napoli-New York, il nuovo film di Gabriele Salvatores

Un viaggio oceanico, fra le onde del neorealismo e del surrealismo. È uscito “Napoli-New York”, il nuovo film di Gabriele Salvatores. Una trama che a sua volta ha una storia

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Napoli-New York, il nuovo film di Gabriele Salvatores

Un viaggio oceanico, fra le onde del neorealismo e del surrealismo. È uscito “Napoli-New York”, il nuovo film di Gabriele Salvatores. Una trama che a sua volta ha una storia

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Un viaggio oceanico, fra le onde del neorealismo e del surrealismo. È uscito “Napoli-New York”, il nuovo film di Gabriele Salvatores. Una trama che a sua volta ha una storia

Un viaggio oceanico, fra le onde del neorealismo e del surrealismo. È uscito “Napoli-New York”, il nuovo film di Gabriele Salvatores. Una trama che a sua volta ha una storia. L’idea originale è stata infatti scritta da Federico Fellini (insieme a Tullio Pinelli) quando il regista riminese ancora non aveva girato il suo primo film. E fa parte dei tanti soggetti scritti e mai realizzati da quella mente geniale e caleidoscopica del futuro autore di “Amarcord”. Per vie traverse è arrivata a Gabriele Salvatores dentro a un baule consegnato a un amico in comune con cose inutili ormai da gettare. All’interno c’erano dei fogli con il seme originario del lungometraggio che adesso arriva al cinema.

Siamo nel 1949, fra le macerie di una Napoli piegata dalla miseria dell’immediato secondo dopoguerra. Gli scugnizzi Carmine (interpretato da Antonio Guerra) e Celestina (impersonata da Dea Lanzaro) tentano di sopravvivere come possono, aiutandosi a vicenda. Lei, orfana e sognatrice, non smette di sperare in una vita migliore oltre l’oceano. Proprio lì sua sorella maggiore Agnese (l’attrice Anna Lucia Pierro) è emigrata mesi prima per aggiungere John, un americano che ha promesso di sposarla. Carmine, più scaltro, vive di espedienti per i vicoli. E così conosce George, chef afroamericano della Marina degli Stati Uniti, che deve vendere un cucciolo di giaguaro in città. È per lui che una notte – spinti dalla disperazione, dal caso e dal sogno di una nuova vita – i due bambini si imbarcano come clandestini sulla “Victory”, la nave diretta da Napoli a New York. A bordo trovano una comunità di emigranti italiani salpati per inseguire la speranza di un futuro diverso. A controllare, con occhio vigile, c’è il furbo commissario di bordo Domenico Garofalo (l’attore Pierfrancesco Favino). Alla fine del viaggio Carmine e Celestina sbarcano in una New York contraddittoria e frenetica. Di Agnese però non c’è traccia. E sarà proprio Garofalo a prendere a cuore le loro sorti, in questa metropoli sconosciuta che diventerà presto la loro nuova casa.

Favino recita magistralmente nel suo ruolo, come un burattinaio circense tiene in piedi la messa in scena riuscendo a trasmettere allo stesso tempo tensione e ironia. Tra le migliori scene, una traduzione cruenta da un agente ai bambini in cui ricorda il Benigni traduttore de “La vita è bella”. La trama è un insieme di elementi del neorealismo e del realismo, ma rivestiti da una regia e da una fotografia che oscillano fra il fiabesco e il sognante. Onirico è il paesaggio: il sole, la luna e le stelle. Così come Manhattan, fra lusso e povertà. Se da un lato Gabriele Salvatores guarda ai classici come “Paisà” di Roberto Rossellini (scritto tra gli altri da Fellini) e “C’era una volta in America” di Sergio Leone, dall’altro appare evidente l’influenza del favoloso e colorato “Hugo Cabret” di Martin Scorsese. Ma qui l’esperimento si ferma a metà. Non si viene trascinati in fondo né nel dolore e nella tenerezza neorealista né nella magia polverosa della fiaba. I temi messi in scena sono tanti: le condizioni degli immigrati (quando gli emigranti eravamo noi); i diritti delle donne e quelli degli afroamericani; l’essere straniero (lo si è solo per denaro e non per provenienza); poi la solidarietà e, soprattutto, l’amore.

Un’opera godibile per tutti i gusti, le età e le stagioni, specialmente a Natale. Come un panettone buono, ma in una confezione sbagliata.

di Edoardo Iacolucci

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