I primi 60 anni di Eddie Vedder, frontman dei Pearl Jam
Eddie Vedder compie 60 anni ed è avviato verso la meta che il suo talento smisurato gli può consentire. Ossia verso il cantautorato americano d’élite
I primi 60 anni di Eddie Vedder, frontman dei Pearl Jam
Eddie Vedder compie 60 anni ed è avviato verso la meta che il suo talento smisurato gli può consentire. Ossia verso il cantautorato americano d’élite
I primi 60 anni di Eddie Vedder, frontman dei Pearl Jam
Eddie Vedder compie 60 anni ed è avviato verso la meta che il suo talento smisurato gli può consentire. Ossia verso il cantautorato americano d’élite
Eddie Vedder compie 60 anni ed è avviato verso la meta che il suo talento smisurato gli può consentire. Ossia verso il cantautorato americano d’élite
La voce è ancora intensa, capace di solleticare corde emotive che solo chi è stato a un paio di concerti dei Pearl Jam – più che alle sue esibizioni da solista – può cogliere pienamente. Eddie Vedder compie 60 anni ed è avviato verso la meta che il suo talento smisurato gli può consentire. Ossia verso il cantautorato americano d’élite, verso totem come Neil Young e Bob Dylan, forse per lui inarrivabili nella scrittura. Ma Eddie arriva dritto al cuore, è un lampo che arriva e produce vibrazioni, apre squarci inattesi. Ora è un produttore inesausto di generosità e apertura al mondo, gli anni tormentati del dolore giovanile sono alle spalle.
I brani dei Pearl Jam – soprattutto l’ultimo album, “Dark Matter”, realizzato con Andy Watt, producer dei Rolling Stones – sono ormai dei concentrati perfetti, tondi, inappuntabili del rock americano. Lasciando da parte sofferenze viscerali, malinconie e dolori che hanno confezionato lavori straordinari. “Ten”, l’atto d’esordio della band nel 1991, e poi “Vs”, “Vitalogy”, “No Code”. È stata un’altra era, da un po’ è un altro Eddie Vedder, da oltre 30 anni l’altra voce di Seattle (anche se il frontman dei Pearl Jam vive da anni a San Diego ed è nato nei sobborghi di Chicago ed è pazzo tifoso dei Cubs, Major League Baseball). Microcosmo grigio e piovoso baciato dal talento che ha dato vita a Jimi Hendrix. Ed è stata la casa, anzi la palestra – se si tiene a mente quella sgangherata nella leggendaria videoclip di Smells Like Teen Spirits – dei Nirvana, dei Soundgarden.
I Pearl Jam hanno rappresentato l’ala poetica, nostalgica del grunge. Sicuramente l’ultima vera rivoluzione musicale: l’onda ha davvero esercitato un’influenza su decine di band nei decenni successivi. Se Kurt Cobain era l’alieno, il genio disadattato e auto-punitore di se stesso, Vedder era disilluso, tormentato, vivo. Ha fatto anche lui a pugni con la vita, è caduto e si è rialzato, resta un’anima inquieta, ma ne è venuto fuori. Entrambi, in ogni caso, ancorati alla realtà popolare, hanno fatto a pezzi l’immagine edonistica, gonfia, della rockstar degli anni ‘80.
Ci sono tracce entusiasmanti anche della carriera da solista. Dal vivo è stato capace di tenere assieme decine di migliaia di spettatori. In Italia fanno fede su YouTube i segmenti delle sue esibizioni dal vivo al Firenze Rocks, nel 2017 e nel 2019. Nel 2008 ha ottenuto anche il Golden Globe con la canzone “Guaranteed”, dall’album “Into The Wild”, colonna sonora dell’omonimo film di Sean Penn. Una pellicola cult della cinematografia, ispirata alla storia di Chris McCandless. Che, alla ricerca di se stesso e della libertà, intraprende un viaggio fino ai territori selvaggi dell’Alaska.
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