La geografia secondo Trump, parla Mario Del Pero
Per Mario Del Pero, professore di Storia internazionale presso l’Università di SciencesPo Usa, e uscite di Trump in ambito geografico sono una provocazione, ma non fine a sé stessa
Il Golfo del Messico potrebbe diventare Golfo d’America. Il Messico stesso e il Canada potrebbero diventare parte degli Stati Uniti, così come la Groenlandia. Insomma la geografia per com’è stata studiata finora potrebbe cambiare, quantomeno la toponomastica e quantomeno nelle intenzioni di Donald Trump. Le dichiarazioni del 46esimo presidente americano, nella sola prima settimana di inizio mandato, hanno avuto un effetto dirompente e forse anche a catena, dal momento che Elon Musk – patron di Tesla, X e SpaceX, ora al fianco del nuovo inquilino della Casa Bianca – ha pensato che la Manica, il canale che divide la Francia dal Regno Unito, potrebbe cambiare il suo nome in “George Washington”.
Fantasie, provocazioni o reali intenzioni? «Certamente quella di Donald Trump è una provocazione, ma non fine a sé stessa. Credo piuttosto che sia funzionale a esercitare delle pressioni su alcuni soggetti, come la Danimarca (sotto la cui giurisdizione ricade proprio la Groenlandia, ndr.) o Panama, per ottenere delle contropartite» osserva Mario Del Pero, professore di Storia internazionale presso l’Università di SciencesPo Usa. «Per il canale di Panama l’obiettivo degli Stati Uniti potrebbe essere ottenere delle tariffe agevolate per il passaggio delle proprie navi. Per la Groenlandia, dove peraltro gli Usa hanno già una base, lo scopo potrebbe essere invece quello di avere in cambio privilegi frutto di accordi con la Danimarca, simili a quelli che gli Stati Uniti hanno già firmato in modo bilaterale con alcuni Paesi Nato. In questo caso Washington potrebbe per esempio ricavarne condizioni agevolate per le imprese americane nell’ambito dell’estrazione di risorse naturali oppure ancora un’azione più incisiva per bloccare eventuali tentativi cinesi di penetrare la regione». Provocazioni con uno scopo, insomma: «Sì, funzionali al raggiungimento di obiettivi che riflettono uno stile diplomatico poco ortodosso, ma anche più problematico».
Donald Trump è sempre stato assertivo, come dimostrano i dazi imposti durante il suo primo mandato. Ma i prossimi quattro anni potrebbero rappresentare un ulteriore passo avanti: «Il suo lessico è molto forte e la portata delle parole non va sottovalutata, specie se si tratta del leader della principale potenza mondiale» sottolinea Del Pero. «Trump parla sicuramente al suo elettorato, che ama un certo nazionalismo ruvido e un approccio alle relazioni internazionali come fossero un’arena brutale, competitiva, dove ognuno massimizza i propri interessi. Adesso però si è aggiunto un linguaggio neoimperialista». Il risultato è una fortissima pressione a cui sono sottoposti i suoi interlocutori, di fatto «umiliati dall’asimmetria di potere: la Danimarca ha bisogno della protezione statunitense, la Colombia di esportare il suo caffè. L’atteggiamento ‘virile’ e marziale di Trump, senza precedenti, rende fragili e deboli gli avversari» conclude Del Pero.
di Eleonora Lorusso
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