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Italia Putin

Silenzi imbarazzati e imbarazzanti

Una grossa fetta di politici italiani sembra non esser in grado neanche di nominare il nome di Putin. Sono spariti, limitandosi a qualche uscita qua e là, mentre aspettano che la tempesta passi.

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Silenzi imbarazzati e imbarazzanti

Una grossa fetta di politici italiani sembra non esser in grado neanche di nominare il nome di Putin. Sono spariti, limitandosi a qualche uscita qua e là, mentre aspettano che la tempesta passi.

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Silenzi imbarazzati e imbarazzanti

Una grossa fetta di politici italiani sembra non esser in grado neanche di nominare il nome di Putin. Sono spariti, limitandosi a qualche uscita qua e là, mentre aspettano che la tempesta passi.

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Una grossa fetta di politici italiani sembra non esser in grado neanche di nominare il nome di Putin. Sono spariti, limitandosi a qualche uscita qua e là, mentre aspettano che la tempesta passi.

Perché un pezzo di politica italiana non riesce neppure a nominare Vladimir Putin, nei contorsionismi con cui si condanna l’aggressione russa, ma non si cita manco per sbaglio il dittatore? Perché alcuni dei volti più noti del nostro dibattito pubblico (serve nominarli?) sono letteralmente spariti nelle ultime settimane, ricomparendo saltuariamente con dichiarazioni fuori contesto o scritte con il bilancino? Senza affidarsi a dietrologia da film di spionaggio, crediamo che la risposta tutto sommato sia banale: hanno fiutato il vento di un’opinione pubblica ogni giorno un po’ più stanca, un po’ più disposta ad affidarsi alle “realtà alternative“. Sperano che questa stanchezza diluisca i loro spaventosi errori di calcolo e valutazione sull’uomo che ha sulla coscienza una guerra insensata, barbara e disperata. Meglio annacquare tutto in qualche dichiarazione di prammatica, lasciando ai colonnelli il compito quotidiano di seguire lo sfacelo ucraino. Lor signori volano alto, non hanno tempo per queste minuzie. Figurarsi condannare esplicitamente chi per anni è stato troppo amico o ha rappresentato la summa di un progetto politico, l’idea che dovessimo cercare strade alternative all’Occidente, alla Nato, persino all’economia di mercato. È la macedonia di idiozie che ha caratterizzato gli anni del populismo e che oggi presenta il conto, con un’opinione pubblica pronta – sempre in parte, grazie al cielo – a bersi i distinguo, la disinformazione e le fake news più rivoltanti. E taluni leader tacciono, per quanto possa apparire pazzesco anche solo pensarlo, aspettano che passi. Dietrologie no, dicevamo, ma non ci va di passare per ingenui: sono estremamente interessanti le parole del presidente del Consiglio Mario Draghi ieri al Copasir, Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che controlla l’operato dei servizi segreti. Nel cuore di un’articolata riflessione sulla guerra scatenata da Putin, il capo del governo ha invitato chi abbia rapporti con la Russia e la Cina a ‘coltivarli in trasparenza, per evitare speculazioni’. È quel “in trasparenza“ che ci ricorda ancora una volta il gigantesco rischio che questo Paese ha corso, mostrandosi molle, accondiscendente, servile (anche peggio?) con dittatori e criminali. Perché alcuni potranno anche tacere per cinismo e calcolo, ma noi queste cose le dicevamo già ai tempi delle vie della seta e delle gite a Mosca. di Fulvio Giuliani 

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