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La corsa sconcia alla notizia della morte

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“Sono incazzato, è la seconda volta in 4 mesi che mi danno per morto. Sembra che sia anche in grado di risuscitare”. Così su Twitter, il procuratore di calcio Mino Raiola, alla notizia della sua presunta morte rimbalzata ieri sui social. Un’ansia per lo scoop, che fanno ignorare le regole basilari del giornalismo.
Ci sono due cose che i giornalisti non dovrebbero fare mai: la corsa alla notizia solo per stabilire record di velocità, manco fossero alle Olimpiadi, e i coccodrilli in vita. Ieri pomeriggio è stata ‘sparata’ la notizia della morte di Mino Raiola, il notissimo 54enne procuratore di alcuni fra i più famosi e forti calciatori in circolazione. In realtà, Raiola era ricoverato in gravi condizioni all’ospedale San Raffaele di Milano e, come riferito, «stava combattendo per la vita». Un’ansia per lo scoop e la voglia di appuntarsi al petto la medaglia del flash più veloce, che fanno ignorare le regole basilari del giornalismo. Anche quella che abbiamo ascoltato (o avremmo dovuto) dal primo giorno di redazione: verificare la notizia prima di darla. Verificarla due volte, se si tratta di lutti o tragedie. Il giornalismo non è mai stato mestiere per educande, ma ormai si dimentica ogni prudenza non tanto per dare la notizia ma per poter twittare di averla data per primi. Quanto ai coccodrilli, gli articoli preconfezionati sulla vita di grandi personaggi, possono essere un’arte. Non a caso, quelli più importanti vengono affidati alle migliori penne in circolazione. Andrebbero maneggiati con grande cura, per evitare terribili gaffe. A Mino Raiola e a chi gli sta accanto in queste ore va la nostra umana vicinanza. Nonché il riconoscimento di aver saputo trovare in momenti difficilissimi la forza dell’ironia, in quel tweet in cui si ricordava come, in soli quattro mesi, il procuratore fosse stato dato per morto due volte.   Di Diego de la Vega

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