Quanto mi sei mancato, San Siro!
Dopo un un anno e mezzo lontano dallo stadio, ho rimesso piede nella “Scala del calcio”. All’inizio non sono riuscito a proferire verbo. Una sensazione stranissima, come a un primo appuntamento ma poi…
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Quanto mi sei mancato, San Siro!
Dopo un un anno e mezzo lontano dallo stadio, ho rimesso piede nella “Scala del calcio”. All’inizio non sono riuscito a proferire verbo. Una sensazione stranissima, come a un primo appuntamento ma poi…
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Quanto mi sei mancato, San Siro!
Dopo un un anno e mezzo lontano dallo stadio, ho rimesso piede nella “Scala del calcio”. All’inizio non sono riuscito a proferire verbo. Una sensazione stranissima, come a un primo appuntamento ma poi…
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Dopo un un anno e mezzo lontano dallo stadio, ho rimesso piede nella “Scala del calcio”. All’inizio non sono riuscito a proferire verbo. Una sensazione stranissima, come a un primo appuntamento ma poi…
29 gennaio 2020 – 21 agosto 2021: 570 giorni senza andare allo stadio, proprio quando stava diventando, per me, una piacevole abitudine.
Sì, perché il 19 novembre 2019 mi ero trasferito a Milano da Turi, piccolo e grazioso comune di 13 mila anime in provincia di Bari, e da allora avevo iniziato ad andare allo stadio Giuseppe Meazza in San Siro. Un sogno che diventava realtà per me che, come molti italiani, sono cresciuto a pane e calcio.
Con il passare del tempo, l’idea di poter andare così facilmente allo stadio in mezzo a 70.000 tifosi rendeva sempre più entusiasmante il mio trasferimento a Milano.
Tra i tanti impegni di studio, lo stadio stava diventando la più bella cura allo stress, la ricarica che avevo sempre sognato. Iniziavo ad andarci con frequenza e, seppure a pochissimi chilometri dalla mia nuova casa, il Meazza mi proiettava naturalmente fuori dal mondo, una sorta di non-luogo, che in greco non a caso si traduce con la parola utopia!
CHIUSI GLI STADI, ARRIVEDERCI SAN SIRO
Dopo aver visto l’esordio di Christian Dannemann Eriksen in Inter-Fiorentina di Coppa Italia (29 gennaio 2020), avevo preso il biglietto per Inter-Ludogorets di Europa League del 27 febbraio. Avrei visto per la prima volta una partita di una competizione europea. Avrei, se quel 21 febbraio non fosse mai esistito. Quel giorno la notizia del Covid-19 arrivato in Italia gettò il panico tra tutti noi, ma nessuno ancora aveva capito davvero cosa sarebbe successo. Inter-Ludogorets sarebbe stata solo la prima di un’estenuante serie di partite a porte chiuse. Non avrei più potuto rifugiarmi in quel non-luogo, quella preziosa abitudine veniva ibernata sul nascere, era la vita nel mondo ordinario che diventava straordinaria. Non di una straordinarietà gioiosa ma terribile, di quelle che non avevo mai vissuto prima. L’impossibilità di andare allo stadio passava immediatamente in secondo piano di fronte alla strage del Covid anche se qualcuno oggi se ne è già dimenticato. Poi sono arrivati i vaccini e con loro la speranza di un ritorno, graduale, alla vita normale mai così tanto desiderata. Quando mi sono vaccinato il ritorno allo stadio non era nei miei pensieri, al contrario della sicurezza mia e delle altre persone, nonché del senso di responsabilità.IL RITORNO PIÙ BELLO
Arriva la bellissima notizia: in zona bianca stadi riaperti al 50% per chi ha il green pass. “Devo per forza andare a vedere la prima di campionato!”, è stato il mio primo pensiero. E così, via con la prenotazione dei biglietti per Inter-Genoa, secondo anello arancio, settore 262, prenotato, ci sono! Ancora non ci credo, accadrà davvero, tornerò sugli spalti della “Scala del calcio”! Il match tra i nerazzurri e i rossoblu si sarebbe giocato sabato 21 agosto alle 18.30: dalle 15 di quel pomeriggio inizio a sentire una strana fibrillazione. Non riesco a non cantare gli inni della tifoseria, mi tornano in mente, fugaci e calde, le immagini dell’ultima volta allo stadio, mi carico, mi emoziono, mi vesto e parto alla volta di San Siro. L’omonima fermata della metro lilla non ha perso il suo potere: dopo 570 giorni, appena le scale mobili mi portano in superficie, mi ritrovo fuori dal mondo davanti a un cielo immobile e al sole splendente che illumina lo stadio, più bello che mai. Per l’occasione ci vado con la mia ragazza che non aveva mai visto una partita dal vivo, e, arrivati a destinazione, capisce e accoglie il mio mutismo. I miei occhi hanno di nuovo incrociato quelle mura, finalmente i brividi trovano lo spazio che meritano sulla mia pelle. Dopo i consueti controlli di biglietto e carta di identità e quello (inconsueto) del green pass, saliamo le scale che portano al nostro settore. La salita è lunga, ma pesa meno di una camminata in discesa. Anzi è agevolata perché più saliamo, più sentiamo vicini i cori dei tifosi, più saliamo, più ci allontaniamo dal mondo. Eccolo lì, l’ultimo scalino e poi…quello che si para davanti ai miei occhi è molto più bello di quanto pensassi. Canto, sorrido, trattengo gli occhi lucidi in mezzo a così tanta vita. L’arbitro Marini fischia, inizia la partita, ricomincia la Serie A con i tifosi intorno al rettangolo verde. Finalmente, 570 giorni dopo, torno a vivere la straordinarietà colorata e festante. Chiudo gli occhi: sono tremendamente felice.La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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