Storia di un isolamento, la Russia perde il pelo ma non il vizio
L’isolamento dal mondo circostante scegliendo la via della violenza e della brutalità non è storia nuova alla Russia. A Putin sarebbe bastato riconoscerne le conseguenze, per non ripetere gli errori dei suoi predecessori.
| Esteri
Storia di un isolamento, la Russia perde il pelo ma non il vizio
L’isolamento dal mondo circostante scegliendo la via della violenza e della brutalità non è storia nuova alla Russia. A Putin sarebbe bastato riconoscerne le conseguenze, per non ripetere gli errori dei suoi predecessori.
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Storia di un isolamento, la Russia perde il pelo ma non il vizio
L’isolamento dal mondo circostante scegliendo la via della violenza e della brutalità non è storia nuova alla Russia. A Putin sarebbe bastato riconoscerne le conseguenze, per non ripetere gli errori dei suoi predecessori.
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L’isolamento dal mondo circostante scegliendo la via della violenza e della brutalità non è storia nuova alla Russia. A Putin sarebbe bastato riconoscerne le conseguenze, per non ripetere gli errori dei suoi predecessori.
L’Orso perde il pelo ma non il vizio. Il proverbio parla di lupo ma oggi abbiamo a che fare non con il wolf di nazista memoria ma con il vecchio orso che, ironia delle parole, si dice medvedev, che con la maiuscola diventa una nostra vecchia conoscenza al Cremlino.
Questo Orso ha un vizio molto antico: lo “sradicamento”. Nel nostro caso, in senso figurato, l’abbandono definitivo dell’ambiente originario, tagliando i legami affettivi e culturali. Tutto ciò comporta inevitabilmente anche l’eliminazione dei rapporti organici con il mondo economico e con le componenti sociali.
I russi sono specialisti in questa tattica fin dai tempi dello zar Pietro e di Caterina la Grande, il cui amante Potiomkin portò in dono la Crimea e “sradicò” nel XVIII secolo i sogni di ribellione del cosacco Pugacev e dei suoi contadini.
Stalin fu più brutale ma più efficace. Deportò milioni di persone – uomini, donne e bambini – da una zona all’altra dello sterminato Paese: come i tatari di lingua turca, deportati in massa, e gli stessi ucraini che ben conoscono, e non da pochi mesi, la ferocia dell’Orso russo. Chruscev diede l’avvio alla cosiddetta “destalinizzazione”, denunciò gli arresti di massa e soprattutto le deportazioni, le torture e i processi farsa del terrore staliniano.
Ma lo “sradicamento culturale” era ormai attecchito e i suoi devastanti danni sono sotto gli occhi di tutti. Anche di coloro che un tempo inneggiavano – in Italia, non solo a Mosca – al leggendario “baffone”. Senza far caso che quelle deportazioni e l’industrializzazione selvaggia a spese delle immense e fertili campagne avrebbero portato a una vera e propria carestia che colpì tutta l’Unione Sovietica.
Putin e la sua cerchia non hanno imparato nulla dalla loro stessa storia. Che Stalin fosse un criminale è verità assodata, tranne che per quei pochi nostalgici che ancora vanno in giro col santino del “baffone”. Hanno ammazzato più gente lui e la sua cricca che non lo stesso Hitler, con cui peraltro inizialmente condivisero non poche idee sanguinose che hanno portato il mondo intero alla devastazione.
Putin, Medvedev e i capi del Cremlino non hanno la statura politica dei loro predecessori criminali (anche in Russia è prevalsa la cultura di stampo “grillino”, dove ignoranza e incompetenza vincono su tutto) ma l’Orso dovrebbe stare attento alle conseguenze, perché la storia è maestra di vita. Qualche lettura in più e meno bicchierini di vodka farebbero bene. Al mondo intero.
Di Andrea Pamparana
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