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Inutili questioni di genere

Sarebbe bello se tutti i problemi di genere si riducessero a una desinenza, il tema del linguaggio è solo uno dei tanti aspetti, non certo il più rilevante.
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Inutili questioni di genere

Sarebbe bello se tutti i problemi di genere si riducessero a una desinenza, il tema del linguaggio è solo uno dei tanti aspetti, non certo il più rilevante.
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Inutili questioni di genere

Sarebbe bello se tutti i problemi di genere si riducessero a una desinenza, il tema del linguaggio è solo uno dei tanti aspetti, non certo il più rilevante.
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Sarebbe bello se tutti i problemi di genere si riducessero a una desinenza, il tema del linguaggio è solo uno dei tanti aspetti, non certo il più rilevante.

Desinenze, generi e mestieri: il tema periodicamente si ripropone con costante coda di polemiche inutili. Era accaduto con Beatrice Venezi, criticata perché all’essere chiamata “direttrice” d’orchestra aveva confessato di preferire “direttore” in quanto, aveva spiegato, conta il talento e non il genere, e soprattutto perché le professioni hanno un nome specifico che non si può stravolgere giusto per allinearsi a un’epoca in cui si cerca il politicamente corretto a ogni costo.

La questione si replica ora con Maria Sole Caputi, primo arbitro donna in una partita di serie A, che candidamente ha detto di non essere affatto interessata a sentirsi chiamare “arbitra” perché persona di sesso femminile. Posto che ormai è sdoganato l’utilizzo sia del femminile che del maschile per quasi tutte le professioni, e quindi il tema non dovrebbe più suscitare tanto dibattito, evidentemente c’è però chi ritiene che la parità sia una questione di desinenze. Con buona pace ad esempio delle guardie giurate, quasi tutti uomini, che da sempre si sentono definire con una declinazione al femminile. Il punto è che le professioni hanno un nome, in italiano, e allora o decidiamo di stravolgere completamente la nostra lingua oppure dovremmo smettere di accapigliarci su questioni che hanno rilevanza pari a zero. Se poi qualcuna si sente offesa o sminuita, dall’essere chiamata al maschile, ha facoltà di farlo presente e di certo troverà ascolto visto quanto negli ultimi mesi di questo si è discusso.

Sarebbe bellissimo se tutti i problemi di genere si riducessero a una desinenza. Non è così: i temi del pari salario, delle donne che dopo una gravidanza non riescono a rientrare nel mondo del lavoro, sono ancora in parte da affrontare e quelli sì che hanno un vero impatto sulla vita. Tra l’altro l’edizione 2022 del dizionario Treccani ha inserito anche la versione al femminile di una serie di sostantivi e aggettivi sinora presenti, almeno lì, solo al maschile. Comprese quelle legate a mansioni e professioni. Più o meno ridicolo, comunque l’hanno fatto. Quindi che altro c’è da polemizzare? In teoria nulla, anche perché sostenere che la parità passi da questo è come guardare il dito invece della Luna.

Gli stereotipi di genere vanno eliminati, ma il tema del linguaggio è solo uno dei tanti aspetti. Non certo il più rilevante. Perché se ad esempio – ed è successo – nei libri di scuola si legge che la mamma cucina e il papà lavora, il problema non è tanto nella frase di per sé quanto, eventualmente, se ancora si ritiene che una donna debba badare alla casa mentre la realizzazione professionale è riservata agli uomini. Non è più così, per quanto ancora ci siano molti spazi di miglioramento, ma è innegabile che viviamo in una società estremamente diversa da quella dei nostri nonni. Ed è un bene per tutti. Così come c’è solo da fare i complimenti a Maria Sole Caputi e a Beatrice Venezi. Non perché sono donne, ma perché sono professioniste di alto livello ed è questo alla fine quel che conta più di tutto.

 Di Annalisa Grandi

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