Abbandonare l’Afghanistan è abbandonare chi ha creduto nell’Occidente
Abbandonare l’Afghanistan è abbandonare chi ha creduto nell’Occidente
Abbandonare l’Afghanistan è abbandonare chi ha creduto nell’Occidente
Nicastro fu il primo giornalista occidentale a entrare a Kabul, il 13 novembre 2001. Era al seguito dei mujaheddin dell’Alleanza del Nord che, sfruttando il collasso talebano davanti all’avanzata statunitense, sciamavano vittoriosi verso la capitale. «I guerriglieri che avevo seguito in guerra – ricorda – non erano visti bene dagli americani, che avevano puntato tutto sull’etnia predominante del Paese, quella pashtun, non rappresentata nell’Alleanza del Nord. Ironia della sorte, la stessa dei talebani.
Non è certo un caso se per vent’anni presidenti e amministratori del Paese non sono mai stai espressione di gruppi etnici diversi dai pashtun, ignorando le forze più organizzate sul campo. Parliamo dei leggendari mujaheddin, che pure ci stavano così simpatici quando scacciavano i sovietici… Signori della guerra, non di rado dei puri criminali, ma con un indiscutibile controllo del territorio». Nicastro osserva: «Se per vent’anni abbiamo scelto di emarginarli dal potere, puntando su chi ha badato solo ai propri interessi e affari, non possiamo meravigliarci di uno Stato che oggi si sta disfacendo sotto i nostri occhi». Sono due le cifre da ricordare: «I sovietici in fuga lasciarono un esercito afghano di 150mila uomini, che resistette tre anni prima di essere travolto. Noi abbiamo costruito (e pagato) un esercito di 300mila uomini, che rischia di essere preso a calci dai talebani in un mese».
Alla domanda su come possa essere spiegato un simile fallimento, l’inviato del “Corriere” non ha dubbi: «Pura inconsistenza ideologica. Questa è gente che stava con gli Usa perché gli americani pagavano. Li abbiamo addestrati bene, anche noi italiani, però non mi sorprenderei se li trovassimo presto a combattere con i talebani. Come meravigliarsi, del resto, se non ci siamo fatti scrupoli nel trattare con i talebani pur di poterci ritirare ordinatamente».
Il tono della voce di Andrea Nicastro si abbassa e se ne percepisce il disagio morale, quasi fisico, quando passa a raccontare del senso di abbandono di cui gli parlano donne e uomini con cui per mesi ha lavorato in Afghanistan. «Sono in contatto con tre di loro. Miei amici, non solo colleghi, che stanno solo pensando a come scappare. Un giornalista afghano, che ha lavorato per l’Associazione contro la censura nel mondo, mi ha detto semplicemente: “O scappo o i talebani mi ammazzano”. Ha i soldi per sopravvivere qualche mese in Occidente, ma i Paesi non consegnano più visti. Gli stiamo sbattendo la porta in faccia. Una collega mi chiede disperatamente un invito per entrare in area Schengen e io provo il dolore sordo dell’impotenza. Queste storie sono una goccia nella marea umana che si sta mettendo in moto, terrorizzata dal ritorno dei talebani. Premono ai confini con l’Iran, che per ora li fa passare purché vadano il più velocemente possibile verso la Turchia», come scriviamo in questa stessa pagina.
«Possiamo provare a voltare la testa dall’altra parte – conclude Nicastro – ma parliamo potenzialmente di 5 milioni di persone. Del resto, con i talebani al potere un terzo della popolazione è a rischio per aver vissuto in città, per aver saggiato un livello di apertura civile prima impensabile. Per aver creduto in noi. Non dimentichiamolo mai».
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Tag: giornalismo
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