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AfghaWest

L’Occidente rappresenta da sempre un sistema di valori, che oggi fa i conti con la realtà dell’Afghanistan.   

Non si può comprendere la reazione dell’Occidente alla caduta di Kabul senza riflettere su che cosa significhi sentirsi occidentali. A meno di non accontentarsi di frettolosi de profundis dell’idea stessa del nostro mondo. Un esercizio inutile, già abbozzato da tanti, a dispetto delle regolari smentite della storia.
In Afghanistan è fuori discussione che gravi su di noi (ma non solo) il peso morale della dissoluzione di uno Stato, costruito in vent’anni di immani sacrifici. In termini di vite umane e spese faraoniche.

Questo senso di responsabilità, sempre pronto a trasformarsi in senso di colpa, è figlio proprio di ciò che l’Occidente rappresenta da sempre: un sistema di valori. Un’idea di società che conosce sin troppo bene i rapporti di pura forza alla base della geopolitica, ma che prova al contempo a valorizzare i diritti dell’individuo. L’unicità del nostro sistema risiede nella pretesa e nel solenne impegno a operare per il costante miglioramento della condizione della persona. Nei limiti del possibile, ovvio.

Una tensione che non ci siamo inventati con l’Illuminismo o nel Secondo dopoguerra ma che affonda le sue radici nella tradizione classica. Le polis greche in guerra con l’Impero persiano sentivano di difendere i valori di una civiltà superiore, anche perché orgogliosamente individualista, contro lo strapotere indistinto di Ciro e Serse. La Repubblica e l’Impero romano non avevano il minimo dubbio di esportare, oltre alla propria politica di potenza, una civiltà e un sistema di valori inconcepibili per i popoli via via assoggettati. A seguito delle legioni viaggiava anche il diritto romano, questo non va mai dimenticato. Dal 2001 a oggi abbiamo più volte dichiarato di voler costruire degli Stati, se non a nostra immagine e somiglianza di sicuro rispondenti almeno ai nostri princìpi democratici fondamentali.

L’oggettivo fallimento afghano non può tramutarsi in apocalittiche previsioni sulla fine del nostro modello sociale. Abbiamo fragorosamente mancato a Kabul, vero, ma l’Occidente non tramonta. Lo dimostra proprio interrogandosi, anche sentendosi umiliato. È la nostra storia da 2.500 anni a oggi e di sicuro non si fermerà davanti ai talebani al potere a Kabul. Questo, però, significa aver chiara la responsabilità di non limitarsi a strapparsi le vesti. La gestione dei profughi afghani sarà un formidabile banco di prova, l’occasione per non limitarsi all’autocommiserazione. È la nostra scelta, è il nostro destino: sentire di poter essere un faro per il mondo. Non il ‘sol dell’avvenire’ sovietico o l’autoreferenziale e indifferente potenza cinese. Da Leonida a Roosevelt, continuiamo a credere che il meglio debba ancora venire.

di Fulvio Giuliani

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