Facebook, dai giorni delle clamorose acquisizioni di Instagram e WhatsApp nel 2012 e 2014, è costantemente nel centro del mirino delle associazioni dei consumatori statunitensi e dell’Antitrust. Più che comprensibile, se pensiamo al mostruoso peso assommato da Mark Zuckerberg.
Sino a oggi, tutti i tentativi di porre un argine al suo strapotere commerciale (con inevitabili ricadute di carattere politico, se pensiamo a quanto accaduto nelle recenti elezioni presidenziali) sono caduti nel vuoto. I veri guai sono arrivati dalle terribili Commissioni del Congresso, ma quella è un’altra storia.
Un rischio concreto si intravede ora dopo che la Federal Trade Commission, agenzia americana che si occupa dei consumatori e del commercio, ha presentato una nuova istanza contro Facebook e il suo presunto monopolio digitale.
A giugno, il primo round era andato a Zuckerberg, quando un giudice federale aveva respinto la prima istanza. Questa volta, un diverso giudice ha imposto a Facebook di rispondere entro il 4 ottobre, dimostrando di non godere di una posizione dominante.
Vedremo come andrà a finire, ma è l’ennesimo tassello di un puzzle che disegna sempre lo stesso scenario: davanti ai colossi della Gig Economy, per regolarne l’attività e prevenire squilibri poi non arginabili, sono praticabili solo due strade.
Quella che porta agli organismi sovranazionali, come l’Unione europea (storica e coriacea avversaria dei colossi tech), e le regole antitrust.
Per le quali ci vuole coraggio a scriverle e ancor di più ad applicarle.
di Marco Sallustro
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