L’assistenzialismo non è cresciuto per senso di carità, ma di convenienza: pagare il consenso verso di sé con i soldi degli altri. Funziona, finché non scatta una doppia trappola: da una parte quel che ricevo lo considero dovuto, sicché non nutro riconoscenza, dall’altra se non è un benefattore chi elargisce è sicuramente un malfattore chi vuol togliere. Da noi è scattata. Dopo di che l’assistenzialismo non fa crescere la pace, ma la rabbia sociale, l’insoddisfazione, il rivendicare dell’altro. Gli eroi di un momento decadono in fretta, lasciando in crescita l’illusione che possa durare all’infinito. Con roba così la convivenza si sfascia. La cosa impressionante è che converrebbe a tutti, a partire da chi ha bisogno veramente, andare in direzione opposta, ma non ci sono rappresentanti politici di questa esigenza.
L’assistenzialismo si chiamava clientelismo. Era fatto su misura per ciascun beneficiato. I partiti più potenti avevano più cose da offrire, nella pubblica amministrazione quelli di governo, nella rete economica collaterale, come cooperative e sindacati, la sinistra di opposizione. Non pochi quelli a cavallo fra le due cose. Il cliente non sempre era un nuovo voto per il partito, anzi il più delle volte era una vecchia conoscenza, ma era prezioso per la preferenza: già votavi per noi, ora il piacere te l’ho fatto io e la preferenza la dai a me. Non esistevano le banche dati digitali, ma i cassetti erano pregni di schede siffatte. Gli anni del terrorismo suggerirono l’opportunità di allargare la spesa per arginare smottamenti, sicché si prese a spendere anche per categorie. Da lì in poi si perse la brocca in un crescendo rossiniano di demagogie. Giunti fin qui, al reddito prima e alla pensione poi per il solo fatto d’essere nati e non ancora defunti.
Ciò alimenta il sorriso e il benessere? Ciò rende l’animo malmostoso e acuisce il malessere. Consumare senza produrre può soddisfare il magniloquente turlupinatore di turno ma è frustrante, umiliante. Riduce a mantenuti incattiviti dall’essere tali non meno che dal non avere avuto abbastanza, dal vedere che altri hanno di più. Una specie di arroganza della petulanza. Il tutto a tacere di quanti si rendono conto di star pagando l’andazzo, sapendo di doverne subire anche le conseguenze future.
Il mondo dei diritti senza doveri non rende liberi, ma infelici e insoddisfatti. Scuole ove il voto non è specchio del sapere non rendono giulivi, ma vuoti. Da lì dobbiamo ricominciare, dal gusto del diritto frutto del dovere. Delizioso e capace di dare felicità
di Davide Giacalone
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