Si riparte, dunque. Pallidi contro abbronzati, pigri contro dinamici. Mohito contro spritz. Modelle e palestrati contro «Andrà meglio il prossimo anno». Tipi da spiaggia contro obiettori del solleone. Libri? Non pervenuti (anche se, pare, il Covid-19 abbia portato bene alle librerie).
Si riparte. Estate calda, umida. Mi raccomando: umida, non torrida (torrida, controllate il vecchio dizionario, significa secca). Nell’aria, essenze di oli abbronzanti e motori d’auto, risate gratuite e musica latineggiante che «Dio ce ne scampi». Ma va bene così. L’estate è cominciata e, come ogni anno, già sta finendo.
In un saggio di qualche decennio fa, il filosofo James Carse individuò nelle dinamiche sociali due possibili tipi di gioco: quello finito e quello infinito. Il primo ha uno scopo: vincere. Con il secondo, si gioca solo per giocare. L’estate è un gioco finito. Esige dei vincitori e dei vinti e adotta le conseguenti strategie: fisicità, leggerezza, ore piccole e sorriso persistente. Il racchettone è un gioco infinito. Il giocatore di racchettone aspira solo a due cose: estraniarsi e sospendere il tempo. Il suo è un gioco infinito, inclusivo, senza scopo. Si gioca solo per giocare. Per preservare il gioco e sé stessi. Il racchettone, col ticchettio irregolare, scandisce il tempo che passa illudendo il giocatore di non mischiarsi con l’effimero dell’estate, le chiacchiere sotto l’ombrellone, le bibite colorate e zuccherate, chi ha troppa cura del proprio corpo e chi non ne ha.
Si tiene, insomma, distante dall’estate degli altri. Il giocatore di racchettone è accogliente e un partner lo trova sempre. Perché gli va bene tutto ciò che è umano: che sia una ragazza, un ragazzo, un decrepito pensionato o una bambina che non ne prende una. Non ha bisogno di vincere ma solo di illudersi. Il suo schema di gioco è quanto di più lontano da un’idea canonica di divertimento. Prima sei rimpalli, dopo ventuno, quindi solo tre. Poi battuta a vuoto. Ma che importa? Per un attimo, si è stati fuori da ogni orizzonte temporale, estranei agli schemi di comportamento estivo, fuori dalla gabbia competitiva di quel gioco a perdere (o a vincere) che è l’estate. E anche se ci fosse una riforma dell’estate – dove le mamme saranno obbligate a richiamare dall’acqua i bambini con l’utilizzo del solo linguaggio dei segni (senza sbraitare, quindi), dove ai giocatori di cruciverba ‘sottombrellone’ verrà suggerito che altro modo di dire brindare (6 orizzontale) è ‘libare’, dove anche ai chitarristi da falò (che immagine vecchia!) sarà consentito di provare a rimorchiare una ragazza o… un ragazzo (ecco la novità!) – il racchettone da spiaggia macinerà il suo palleggio, blues lento e incostante, fuori dal coro di stagione e da quell’agglomerato di umori, fragori, ansie prestazionali destinate a finire ricordando a tutti che la stagione che stiamo per attraversare non durerà a lungo. Mare, mare, mare…voglio annegare!
di McGraffio
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