Ferlinghetti, il poeta anarchico che editò la beat generation
La sua libreria di San Francisco divenne il centro nevralgico della corrente artistica che negli anni Cinquanta sfornò nomi quali Ginsberg, Burroughs, Corso e Kerouac
Ferlinghetti, il poeta anarchico che editò la beat generation
La sua libreria di San Francisco divenne il centro nevralgico della corrente artistica che negli anni Cinquanta sfornò nomi quali Ginsberg, Burroughs, Corso e Kerouac
Ferlinghetti, il poeta anarchico che editò la beat generation
La sua libreria di San Francisco divenne il centro nevralgico della corrente artistica che negli anni Cinquanta sfornò nomi quali Ginsberg, Burroughs, Corso e Kerouac
La sua libreria di San Francisco divenne il centro nevralgico della corrente artistica che negli anni Cinquanta sfornò nomi quali Ginsberg, Burroughs, Corso e Kerouac
Lawrence Ferlinghetti è stato al contempo pittore, scrittore, poeta, editore, ma soprattutto è stato un anarchico.
L’anarchismo gli venne insegnato da Kenneth Rexroth, poeta e critico di San Francisco. Da allora non l’abbandonò mai.
Anarchia intesa come libertà di comportamento, di pensiero, di espressione, di parola. Come disobbedienza nei confronti di ogni forma di potere, come astensione dalle logiche precostituite e dai pensieri dominanti. Come uscita dal gregge e diserzione (nell’affermazione della più radicale libertà da un lato, e nel più completo rispetto degli altri dall’altro).
«Poet and titan of the beat» lo celebrò il “Los Angeles Times”: nacque il 24 marzo 1919 a Yonkers, New York, da papà bresciano e madre ebrea sefardita. Amava Thomas S. Eliot e si laureò alla Columbia su John Ruskin.
Scriveva: «Se vuoi essere poeta, crea opere capaci di rispondere alla sfida / di questi tempi apocalittici, benché questo suoni apocalittico. / Sei Whitman, sei Poe, sei Mark Twain, sei Emily Dickinson, sei Majakovskij e Pasolini, sei Americano e non Americano, puoi conquistare i conquistatori con le parole».
Dopo gli studi in letteratura alla Sorbona di Parigi (dove si appassionò anche all’arte, dipingendo i suoi primi quadri) nel 1951 rientrò a San Francisco. Quando vi arrivò, fu rattristato dalla carenza di locali letterari: «Speravo di trovare una bella libreria usata dove sedermi a leggere tutto il giorno e ringhiare a tutti quelli che mi disturbavano». Ma non fu così.
E allora l’aprì lui, quella libreria, con Peter D. Martin, nel 1953. La chiamarono “City Lights Pocket Bookshop”. L’idea era quella di creare un luogo di incontro letterario.
Due anni dopo Ferlinghetti iniziò a editare la serie tascabile Pocket Poets, pubblicando la sua prima raccolta di poesie, “Pictures of the Gone World”. Nel 1956 diede avvio alla pubblicazione dei poeti beat, con “Howl” di Ginsberg, che gli valse una denuncia per oscenità da parte del pubblico ministero. Ferlinghetti vinse la causa ed ebbe una grande pubblicità.
La libreria divenne il centro nevralgico (di produzione, pubblicazione, elaborazione) della beat generation, corrente artistica che negli anni Cinquanta sfornò nomi quali Ginsberg, Burroughs, Corso, Kerouac, e animò la grande stagione di rivolta, spalancando le porte al pacifismo e alle ribellioni studentesche del ‘68.
Fu il pupillo della poesia, d’altronde, Ferlinghetti: il padre morì d’infarto prima della sua nascita e la madre passò anni in un istituto per malati di mente. Secondo la leggenda narrata da Fernanda Pivano, Ferlinghetti aveva ascoltato Ginsberg declamare il suo poema alla Gallery Six di San Francisco. «Fu una notte pazza». Quella sera Ferlinghetti mandò a Ginsberg un telegramma ricalcando quello che Ralph Waldo Emerson aveva mandato a Walt Whitman quando aveva ricevuto una copia dell’edizione 1855 di “Leaves of Grass”: «Ti saluto all’inizio di una grande carriera».
Ferlinghetti aggiunse: «Quando mi dai il manoscritto?». Il processo intentato per oscenità ebbe il merito di far esplodere la carriera poetica di Ginsberg e il talento eccentrico del suo editore.
Rispetto agli altri beat, mostri che latravano il proprio ego con facce buddhiste, Ferlinghetti era dotato di una compassione bibliografica. Nei decenni hanno pubblicato tutti con lui, Bukowski e Burroughs, McClure, Paul Bowles, Kerouac, Sam Shepard, ma anche, con l’acume dell’anti-canone, Artaud e Majakovskij, Dino Campana, Georges Bataille, André Breton, Bertolt Brecht.
Grazie a Ferlinghetti, la beat generation diventò un fenomeno bibliografico; ma lui, sornione, gigante, pressoché immortale, trapezista del nonsense, un poco guru e un poco clown, volteggiava sopra i beatnik, aveva il genio della leggerezza, privo di scorie nostalgiche, della mitraglia del disincanto nichilista che azzoppò un po’ tutti.
di Davide Fent
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