La famiglia Agnelli ha deciso di farsi del male. Sarebbero affari loro se la cosa non avesse risvolti collettivi. La contesa riguarda l’eredità, con uno di loro che contesta agli altri l’inguattamento di una parte della ricchezza. Ma non è questo il punto. Pur di fronte a un patrimonio imponente e a una famiglia numerosa, le regole che presiedono all’eredità non sono misteriose. Prima o dopo si giunge a una conclusione.
Qui le cose vanno diversamente perché una parte del patrimonio si trova all’estero. Cosa di suo non problematica: un cittadino italiano può legittimamente possedere quel che gli pare in qualsiasi parte del mondo, rendendo solo un po’ più macchinosa la successione. A meno che – ed è questo il problema – la proprietà sia sicura ma non dichiarata, ovvero accumulata in violazione delle regole e in evasione fiscale. A quel punto le cose si complicano, perché se gli eredi litigano la prima cosa che viene messa in dubbio è proprio l’entità del patrimonio e, quindi, cosa entra nell’asse ereditario e cosa no.
Gli Agnelli non sono una famiglia qualsiasi, ma una schiatta imprenditoriale che ha caratterizzato parte rilevante dell’industrializzazione di inizio secolo scorso e, poi, della ricostruzione post bellica. Alle loro attività sono state dedicate leggi di protezione, agevolazioni, rottamazioni e contributi pubblici. A spese dei contribuenti non evasori. Siamo interessati tutti – in senso non solo teorico – a saper, se esiste, in che e in quanto consiste l’inguattato.
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