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Giustizia, il gioco delle parti

La corsa al distinguere per decidere i reati da lasciar fuori dalla prescrizione. Senza tener conto del vero obbiettivo.

Giustizia, il gioco delle parti

La corsa al distinguere per decidere i reati da lasciar fuori dalla prescrizione. Senza tener conto del vero obbiettivo.

Giustizia, il gioco delle parti

La corsa al distinguere per decidere i reati da lasciar fuori dalla prescrizione. Senza tener conto del vero obbiettivo.

La corsa al distinguere per decidere i reati da lasciar fuori dalla prescrizione. Senza tener conto del vero obbiettivo.

«Questo sì, questo sì, questo no». La politica italiana sulla riforma della giustizia sta cominciando a diventare il gioco delle distinzioni. Nel senso che ogni parte politica sembra avere il proprio reato preferito da togliere dall’elenco della prescrizione. Hanno cominciato i 5 Stelle con il leader Giuseppe Conte quando hanno chiesto al presidente del Consiglio Mario Draghi e al ministro della Giustizia Marta Cartabia – facendone una questione di principio ma anche di voto, quindi di sfida politica – di lasciar fuori (dalla prescrizione) i reati di mafia. Adesso, mentre la velocità per l’approvazione della riforma della giustizia è sensibilmente rallentata, ecco che la Lega di Matteo Salvini sembra voler chiedere che restino fuori dalla prescrizione anche i reati per violenza sessuale e traffico di droga gestito dalle cosche. L’aspetto che non va – mentre si discute di far funzionare bene la giustizia italiana, riformandola – è questa corsa al distinguere. Questo sì, questo sì, questo no. Una corsa che pare dimenticarsi totalmente del vero obbiettivo: far arrivare a sentenza i processi. Così funziona nei Paesi civili e con una giustizia efficiente. Invece da noi si ha la sensazione che neppure la politica, che la sta varando e la dovrà votare, creda alla riforma che prepara. Altrimenti non si capirebbe questo impuntarsi continuo sulla prescrizione quasi fosse ineluttabile che molti processi non arrivino mai a sentenza, neppure dopo la riforma. Quando si dice una questione di fiducia.   di Massimiliano Lenzi

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