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I Giochi nel deserto

Neppure l’attesa per le Olimpiadi ha smosso l’atavica diffidenza dei giapponesi per i vaccini.

I Giochi nel deserto

Neppure l’attesa per le Olimpiadi ha smosso l’atavica diffidenza dei giapponesi per i vaccini.

I Giochi nel deserto

Neppure l’attesa per le Olimpiadi ha smosso l’atavica diffidenza dei giapponesi per i vaccini.

Neppure l’attesa per le Olimpiadi ha smosso l’atavica diffidenza dei giapponesi per i vaccini.

A sette giorni dalla cerimonia inaugurale, i Giochi olimpici di Tokyo fanno parlare quasi esclusivamente in termini di limitazioni, divieti e restrizioni. Un quadro che fa presagire un’atmosfera lontanissima dalla festa dei popoli a cui associamo da sempre i Giochi. Una realtà amara, che si è cercato di gestire con la teoria dei piccoli passi e delle minime concessioni, fino alla resa pressoché totale delle ultime settimane. In pochi giorni, infatti, si è passati dall’ammettere almeno alcune migliaia di spettatori alle gare a porte chiuse. Tutto è stato spazzato via, certamente dalla recrudescenza dei nuovi contagi ma soprattutto da un dato di fatto che suona come severissimo monito per tutto il mondo: il Giappone è costretto a gestire le Olimpiadi in una condizione di gravissima difficoltà, soprattutto perché nel Paese non si è praticamente vaccinato nessuno. Ad oggi, la percentuale è inchiodata a un imbarazzante 8%. Una diffidenza storica, questa, rafforzata soprattutto fra i più giovani da una campagna social di disinformazione apparsa a tratti inarginabile. Il risultato è che neppure l’emergenza globale della pandemia di Coronavirus ha spinto i giapponesi a superare quest’atavica ritrosia e a seguire gli esempi di tutto il mondo avanzato. Ne approfittiamo per sottolineare, peraltro, come nelle stesse zone più disagiate del pianeta il problema non sia certo la scelta di non vaccinarsi ma la drammatica e cronica assenza di dosi. Lo sconfortante esempio nipponico ci ricorda che, senza una vaccinazione di massa, non ci può essere vita normale. Tanto meno si possono organizzare le Olimpiadi, se non in questa grigia versione da lockdown. I Giochi a porte chiuse sono una contraddizione in termini dello spirito olimpico più profondo, che non è mai stato quello di partecipare e basta – un fraintendimento delle parole del barone De Coubertin che sarebbe anche ora di superare – ma di unire per 14 giorni il mondo intorno a un ideale di pace e convivenza. Se togliamo le genti, però, resta solo l’evento agonistico ed evapora tutta la specificità e leggenda dei cinque cerchi. Una grande impresa sportiva resta tale, per carità, anche senza pubblico sugli spalti. Alle Olimpiadi, come ci insegna la storia, i trionfi agonistici possono essere sfruttati in ogni caso. Con gli intenti più nobili, così come per la propaganda più scontata e nazionalista. Questo non cambierà, ma tutto il resto sì. Facciamone tesoro, perché il contesto di Tokyo 2020 ci ammonirà giorno dopo giorno su quanto la nostra vita resti appesa a un filo e quel filo sono solo i vaccini. Il sacro fuoco di Olimpia ridotto a illuminare un deserto ne è testimonianza dolorosa e potente.   di Diego de la Vega

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