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La lunga estate calda della trattativa fra Mef e Intesa

Prima della fusione con Unicredit, Mps necessiterebbe di un aumento di capitale di 2,5 miliardi di euro entro il primo semestre 2022. Ma l’operazione non è affatto scontata.

La lunga estate calda della trattativa fra Mef e Intesa

Prima della fusione con Unicredit, Mps necessiterebbe di un aumento di capitale di 2,5 miliardi di euro entro il primo semestre 2022. Ma l’operazione non è affatto scontata.

La lunga estate calda della trattativa fra Mef e Intesa

Prima della fusione con Unicredit, Mps necessiterebbe di un aumento di capitale di 2,5 miliardi di euro entro il primo semestre 2022. Ma l’operazione non è affatto scontata.
Prima della fusione con Unicredit, Mps necessiterebbe di un aumento di capitale di 2,5 miliardi di euro entro il primo semestre 2022. Ma l’operazione non è affatto scontata.
Nel 2017 la trattativa tra il Mef e Intesa per la liquidazione delle banche venete si svolse a fine giugno, in una Roma già arroventata e in stanze private dell’aria condizionata dopo una certa ora. La trattativa tra il Mef e Unicredit – per non si sa bene cosa riguardi Mps – pare si svolga, fortunatamente senza scadenze stringenti, in un agosto romano rallentato dall’afa. La differenza tra le due trattative è che nel caso delle venete le parti seguivano il breviario europeo dei salvataggi bancari, mentre nel caso del Monte si vorrebbe evitare di applicarlo. La parola magica, infatti, è ‘fusione’, operazione ben regolata dal Codice civile e sottoposta all’autorizzazione preventiva della competente vigilanza della Bce, in forza della quale una banca di maggiore dimensione e dotata di mezzi patrimoniali adeguati (Unicredit) incorpora, in tutto o in parte, una banca più piccola (Mps), togliendola dal mercato. Il fatto è che Mps è una banca in difficoltà: necessita di un aumento di capitale di 2,5 miliardi entro il primo semestre 2022, solo per disporre ancora della licenza bancaria. Quindi, prima di procedere alla fusione – e per non danneggiare la banca incorporante, i suoi azionisti e clienti – i soci del Monte (tra cui come noto, per due terzi, lo stesso Mef) dovrebbero eseguire l’aumento di capitale richiesto. Il breviario europeo, con una certa coerenza giuridica, non include infatti le fusioni come strumento di risoluzione di una crisi bancaria: se Mps (intesa come azienda bancaria, non come marchio) deve essere salvata da Unicredit, occorre prima che la crisi sia dichiarata (la banca venga cioè sottoposta a risoluzione dal Resolution Board della Bce) e scatti il famigerato burden sharing, ovvero la copertura delle perdite accumulate da parte prima degli azionisti, poi degli obbligazionisti, infine dei depositanti con depositi superiori a 100mila euro. Come in effetti si fece con le venete. L’alternativa è la ricapitalizzazione del Monte in misura tale da allontanare lo spettro della risoluzione e consentirne la fusione con Unicredit. Si vedrà subito che la sottoscrizione di un aumento di capitale da parte del Mef è a sua volta un problema perché sottoposta all’autorizzazione, oltreché della Bce (che sarebbe contenta, come abbiamo visto) anche della DGComp, che invece contenta non sarebbe e soprattutto ci metterebbe troppo tempo a decidere. Quindi un’ulteriore soluzione potrebbe consistere in un aumento di capitale riservato a Unicredit per 2,5 miliardi, la cui autorizzazione spetterebbe alla sola Bce: ci sarebbe la possibilità di avvalersi dell’esenzione dall’Opa obbligatoria, ma il Mef dovrebbe contabilizzare una perdita patrimoniale netta di circa 1,5 miliardi, oltre a ricevere una quota trascurabile del capitale di Unicredit post fusione. Sarà comunque una lunga estate calda, per i nostri valenti funzionari del Ministero.

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