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Il diritto di voto dei giovani a 16 anni

La testa, il cuore e i sensi dei ragazzi hanno bruciato le tappe

Perché concedere il voto ai sedicenni? Perché occorre ripagare la fiducia che i giovani ci hanno riposto

La testa, il cuore e i sensi dei ragazzi hanno bruciato le tappe

Perché concedere il voto ai sedicenni? Perché occorre ripagare la fiducia che i giovani ci hanno riposto

La testa, il cuore e i sensi dei ragazzi hanno bruciato le tappe

Perché concedere il voto ai sedicenni? Perché occorre ripagare la fiducia che i giovani ci hanno riposto

Perché concedere il voto ai sedicenni? Perché occorre ripagare la fiducia che i giovani ci hanno riposto

Mi frulla in testa una vecchia idea, già altre volte timidamente raccontata e che oggi voglio riproporre con più convinzione. Abbiamo finalmente deciso di allargare il voto dei nostri giovani fino a toccare le due Camere. Mi domando perché gente come noi, convinta di sapere di tutto e di più, abbia impiegato quasi un secolo per decidere. Approfittando di un evento così solenne, mi chiedo perché i nostri figli non possano votare già a sedici anni. Le situazioni storiche, politiche, economiche e sociali vissute negli ultimi venti anni obbligano noi adulti ‘significativi’ a chiederci perché percorsi, età, stati d’animo, caratterialità e ritmi di vita si siano talmente diversificati da lasciare nel malessere e nel disorientamento una intera generazione. Poiché in tanti ci diamo da fare per farla uscire dal disagio, io ho trovato il modo meno complicato e addirittura, quasi da loro desiderato. La testa, il cuore, i sensi dei nostri ragazzi hanno bruciato le tappe e li ritengo pronti. Nei giovani volontari che frequentano i miei centri vedo maturità, sensibilità, attenzione a quanto sta succedendo nel mondo: capacità critiche per me, nato i secoli scorsi, molto puntuali e non fomentate da folate anarchiche ed estremiste. Inserire nel loro cammino questa tappa a cronometro permetterebbe a noi di smettere di prolungare nei figli le stagioni infantili, invece che anticipare la contemporaneità delle situazioni. Siamo sempre a metà del guado. Veri salti verso mete rischiose ma necessarie a questa società dei bancomat non li vedo. Franco Garelli ci invita a superare gli stereotipi, a passare alle sfide educative e a elaborare un diverso modo di stare al mondo. L’invito, però, va tradotto e sostenuto. Non possiamo ancora tacere sul non protagonismo che le donne e i giovani hanno nei progetti politici, lavorativi, scolastici e sociali. E sempre Garelli, nel suo volume “Educazione”, afferma: «Nel rapporto con i giovani, dunque, gli adulti sono attesi da una doppia sfida: non soltanto nei confronti delle loro responsabilità educative (di come cioè si rapportano e quanto si stanno aprendo alla vita e alla società) ma soprattutto verso sé stessi, verso il modello di realizzazione che sono in grado di esprimere». E per chiudere bene la proposta, rubo al filosofo Edgar Morin, alcune frasi stupende. «La politica di civiltà (che quindi include anche nuove linee rispetto ai giovani e alle donne) ha bisogno della piena consapevolezza dei bisogni poetici dell’essere umano. Deve sforzarsi di attenuare le costrizioni, le servitù, le solitudini e opporsi al grigio dilagare della prosa, così da permettere agli esseri umani di esprimere le proprie inclinazioni poetiche!».   di Don Antonio Mazzi

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