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La verità senza senso di Neraneve

Assistiamo sempre più spesso a scelte che, in nome della parità, non rispettano la verità. E se si trattasse solo di marketing?

Facciamola per bene la rivoluzione e da persone perbene, rispettose di quella verità, essenziale e semplice al contempo, fondata sui fatti. Così non possono non affiorare delle perplessità nel leggere che la Disney abbia scelto, per la sua prossima produzione,
un’attrice colombiana dalla carnagione olivastra.

La questione non si porrebbe, se non fosse che il film in questione sia un remake di “Biancaneve”, la fanciulla che i fratelli Grimm descrivevano «bianca come la neve». Discorso che vale anche al contrario, sia fuori da ogni dubbio. Pochi sere fa, su Rai Tre, c’era l’Aida. La giovane schiava etiope era interpretata dalla bianchissima Angela Meade, il cui volto per essere più credibile era stato imbrattato di nero, pratica che inevitabilmente richiama alla mente la blackface dei primi del Novecento utilizzata negli spettacoli per ridicolizzare l’uomo nero.

Davvero in tutto il mondo non c’era un soprano di colore all’altezza di questo ruolo?
Il confine tra l’essere originali e ridicoli è assai labile. Naturalmente, non è problema di colori ma di verità. Biancaneve dovrebbe essere bianca quanto è vero che Hulk debba essere verde! Lo slancio emotivo di un pugno di sceneggiatori che dice di voler cambiare il mondo convince davvero poco.

Non è questione di essere dei ‘malignetti’ ma viene il sospetto che il tutto sia riconducibile a una mirata azione di marketing. Qui nessuno mette in dubbio che – con il grande schermo invischiato nelle sabbie mobili di una crisi profonda – la promozione di pellicole trite e ritrite rappresenti una sfida più che impervia, ma in tema di diritti la massima «Purché se ne parli» non può dirsi mai adeguata.

E se è vero che queste iniziative possono tornare utili a spingere un nuovo film, potrebbero persino evolvere in un boomerang omicida per la causa delle pari opportunità. Per cui diventa altrettanto difficile accettare obtorto collo che Laurel Hubbard, atleta transessuale neozelandese, specialità sollevamento pesi, abbia partecipato a Tokyo2020 nella categoria femminile (anche se con una prestazione a dire il vero assai deludente).

Esistono evidenze che non possono essere rinnegate, come il fatto che uomini e donne siano fisiologicamente distanti tra loro. Ben venga la rivoluzione, ma che in cambio non si chieda di rinunciare a una verità di buonsenso, che il passo a quella senza è assai breve.

 

di Ilaria Cuzzolin

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